Collaborazione volontaria ai nastri di partenza
di Nicola Fasano
Con l’art. 1 del d.l. 4/2014 è stato ufficialmente introdotto l’istituto della “voluntary disclosure” (noto anche come collaborazione volontaria), tramite una serie di disposizioni aggiunte nel d.l. 167/90 in materia di monitoraggio fiscale.
Iniziamo a vedere come funziona la procedura, non proprio semplice e immediata, con la premessa scontata che si dovrà poi verificare la versione definitiva della norma, dopo la conversione del decreto.
Presupposto per accedere alla regolarizzazione è la violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale, commessa fino al 31 dicembre 2013. Questo vuol dire che possono accedere alla procedura persone fisiche, enti non commerciali, società semplici e associazioni, in sostanza i soggetti tenuti alla compilazione dell’RW che abbiano omesso la compilazione del quadro con riferimento ad attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero per periodi di imposta ancora accertabili al momento della presentazione dell’istanza all’Amministrazione finanziaria. E’ possibile sanare le violazioni commesse fino al periodo di imposta 2012 (poiché la relativa omissione del quadro RW è stata commessa con il Modello Unico 2013 presentato entro il 2013).
Non è prevista, inoltre, alcuna forma di anonimato nel senso che l’interessato deve presentare un’apposita istanza (ad una delle sedi dell’UCIFI, l’ufficio appositamente preposto dell’Agenzia delle entrate) in cui sono indicati tutti gli investimenti e tutte le attività di natura finanziaria costituiti o detenuti all’estero, anche indirettamente o per interposta persona, fornendo i relativi documenti e le informazioni per la ricostruzione dei redditi che servirono per costituirli, acquistarli o che derivano dalla loro dismissione o utilizzo a qualunque titolo, relativamente a tutti i periodi d’imposta per i quali, alla data di presentazione della richiesta sono aperti i termini di accertamento.
Sotto questo profilo, in prima approssimazione si può dire che nel 2014 sono ancora accertabili i periodi di imposta fino al 2005, in caso di presentazione della dichiarazione e detenzione delle attività in paesi non collaborativi o di reato, o addirittura fino al 2003 se, a parità di condizioni precedenti, la dichiarazione è stata omessa. Il punto, quanto mai rilevante, presenta diverse criticità e sarà oggetto di ulteriore approfondimento in un prossimo intervento.
Una volta ricostruita la posizione del soggetto interessato la Direzione Provinciale competente in base al domicilio fiscale dell’istante, notificherà l’avviso di accertamento a seguito del quale si dovrà versare in unica soluzione (e senza possibilità di compensazione) le somme dovute in sede di definizione dell’avviso di accertamento, (art. 15 del d. lgs. 218/97), entro il termine per la proposizione del ricorso, ovvero le somme dovute in base all’accertamento con adesione entro venti giorni dalla redazione dell’atto, oltre alle somme dovute in base all’atto di contestazione o al provvedimento di irrogazione delle sanzioni per la violazione sull’RW.
L’istanza, al momento, potrà essere presentata, una sola volta, fino al 30 settembre 2015. Non è possibile accedere alla regolarizzazione nel caso in cui il contribuente abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, per violazione di norme tributarie, relativi alle attività da far emergere.
La procedura dunque, non ha nulla a che vedere con i precedenti scudi fiscali, sia perché non è assicurata alcuna forma di anonimato al contribuente, sia perché le imposte sono dovute interamente e in modo analitico su tutti i redditi sottratti a tassazione.
Gli unici benefici si hanno sotto il profilo sanzionatorio, in quanto chi collabora, dal punto di vista penale, non è punibile per i reati di omessa o infedele dichiarazione, mentre le pene per i reati di natura fraudolenta (art. 2 e 3 d.lgs. 74/2000) sono ridotte fino alla metà.
Dal punto di vista amministrativo, invece, le sanzioni sulle maggiori imposte accertate sono applicate secondo le regole ordinarie, mentre le sanzioni concernenti l’RW sono applicate nella misura pari alla metà del minimo edittale (quindi, in caso di attività in Paesi non trasparenti, opera il 3% ulteriormente riducibile ad un terzo e dunque all’1% a seguito della definizione dell’accertamento con il Fisco) se le attività vengono trasferite in Italia o in Stati trasparenti (UE e Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo che consentono un effettivo scambio di informazioni con l’Italia inclusi nella lista di cui al D.M. 4 settembre 1996) o se il contribuente rilascia all’intermediario finanziario estero presso cui le attività sono detenute un’autorizzazione a trasmettere alle autorità finanziarie italiane richiedenti tutti i dati concernenti le attività oggetto di collaborazione volontaria e allega copia di tale autorizzazione, controfirmata dall’intermediario finanziario estero, alla richiesta di collaborazione volontaria. Negli altri casi la sanzione è ridotta di un quarto rispetto al minimo edittale. Sono inoltre previste norme tese a “facilitare” il cumulo giuridico.
Così sintetizzata la procedura, non mancano rilevanti profili critici, su cui torneremo. Fra tutti spicca la notevole onerosità della procedura, che potrebbe elidere gran parte dei fondi da regolarizzare, soprattutto quando il periodo di imposta in cui è stato costituito il capitale illecitamente portato all’estero è ancora accertabile. Questo perchè, in tal caso, dovendo giustificare al Fisco l’origine dei fondi, se si tratta di redditi sottratti a tassazione, si apre la strada alle determinazione della maggiore irpef dovuta sugli stessi e molto spesso si hanno effetti a cascata anche su società (di cui magari l’istante è socio) coinvolte nell’ambito dell’esportazione illecita dei fondi (per esempio tramite fatture per operazioni inesistenti). Con risvolti, soprattutto di natura penale, tutti da verificare. Attenzione però, la procedura di emersione potrebbe non essere una “scelta”: la detenzione all’estero di capitali occultati al Fisco è sempre più difficile poiché sta cambiando il vento in ambito internazionale e sono proprio gli intermediari esteri che, per non rimanere invischiati in vicende penali legate all’evasione dei clienti, spingono per “restituire” fondi di cui non conoscono la provenienza.