Operazioni con effetti pluriennali e limiti temporali all’accertamento
di Fabio Landuzzi
Una questione dibattuta riguarda il potere dell’Amministrazione Finanziaria di contestare gli effetti derivanti dall’adozione da parte di un’impresa di un determinato criterio di contabilizzazione di una posta di bilancio, o anche gli effetti fiscali che sono sorti dall’esecuzione di un’operazione societaria, in ciascuno dei singoli periodi d’imposta in cui questa fattispecie si riflette nel conto economico della società, anche senza aver sollevato eccezioni entro i termini di legge con riguardo all’esercizio in cui è stata compiuta l’operazione, o è stato adottato il criterio di contabilizzazione, da cui sono derivate le poste di bilancio controverse. E’ evidente che la soluzione data a questo tema ha degli effetti estremamente rilevanti riguardo al perdurare dell’esposizione di una società al rischio di contestazioni fiscali; si pensi, a titolo esemplificativo, al caso di una scelta contabile che abbia portato alla capitalizzazione di costi riferiti ad un’operazione straordinaria compiuta nell’anno 2002 da cui sono derivati maggiori costi pluriennali e quindi maggiori quote di ammortamento imputate nei successivi conti economici annuali della società: l’Amministrazione può oggi avere titolo di contestare la deduzione delle quote di ammortamento (ad esempio dal 2009 in avanti) eccependo l’erroneità del criterio di contabilizzazione adottato nel 2002 dalla società, o peggio eccependo l’elusività dell’operazione da cui sono derivati i costi pluriennali che hanno prodotto questi maggiori ammortamenti?
Da parte sua l’Amministrazione Finanziaria ritiene di essere legittimata a poter contestare, se ne sussistono le ragioni di merito, la deduzione dei costi nei singoli esercizi in cui questi sono dedotti; pertanto, nell’esempio, gli ammortamenti imputati dal 2009 in avanti sarebbero oggi contestabili anche se originati da un’operazione e da una scelta contabile eseguita nel 2002, ovvero in un anno per il quale l’azione di accertamento sarebbe prescritta.
Questo orientamento ha trovato conferma nella giurisprudenza di Cassazione (sentenze n. 12880/2008 e 15178/2010) secondo cui sarebbe nelle facoltà dell’Agenzia delle Entrate contestare i criteri utilizzati dal contribuente nella redazione del bilancio, e anche solo per i loro riflessi fiscali negli esercizi futuri, tanto che l’Amministrazione sarebbe legittimata ad accertare gli esercizi successivi anche senza il preventivo obbligo di accertare l’esercizio originario in cui l’operazione o la scelta dei criteri contabili si sono compiuti. In altri termini, e ritornando all’esempio di cui sopra, l’Amministrazione potrebbe ritenere non corretta la contabilizzazione delle spese nel 2001, senza pur tuttavia accertare detto esercizio in quanto già prescritto alla data della verifica, ben potendo però accertare gli esercizi successivi per i quali l’attività di accertamento non risulta prescritta alla data dell’accesso, per i riflessi reddituali che si sono determinati in questi esercizi dall’applicazione avvenuta nel 2001 del criterio contestato.
La soluzione affermata nella sentenza della Cassazione del 2010 non è pienamente convincente almeno in senso generale, in quanto rischia di arrivare di fatto a legittimare una vera e propria rettifica postuma dei criteri contabili applicati dagli amministratori in esercizi che sono ormai del tutto prescritti all’azione di accertamento dell’Amministrazione; si tratta infatti di una conseguenza che sembra andare ben oltre quanto era stato affermato nella precedente sentenza della Cassazione del 2008.
Ancora più critico è poi il caso delle contestazioni che riguardano operazioni straordinarie accusate di profili elusivi o di profili di cd. abuso del diritto. Qui, infatti, non si tratta di contestare scelte contabili che si riflettono nei conti economici di diverse annualità, bensì si discute della qualifica elusiva o meno di un’operazione spesso articolata e complessa. A questo riguardo, la Commissione Tributaria Regionale di Milano (sentenza n. 31/44/13 del 25 febbraio 2013) ha affermato che l’avviso di accertamento va notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui la dichiarazione è stata presentata, quand’anche gli effetti fiscali di un’operazione posta in essere in una specifica annualità si protraggano per più anni. In tali casi l’Agenzia delle Entrate deve contestare, nei rispettivi termini previsti dalla legge, l’anno in cui l’operazione è stata effettuata, e non può limitarsi a contestarne i riflessi fiscali nei soli esercizi successivi in cui si manifestano gli effetti reddituali della stessa. Infatti, quando si discute di presunta elusività di un’operazione, è proprio l’operazione in sé che viene sottoposta a giudizio, per cui l’oggetto del contendere non può che essere l’operazione in se stessa; di conseguenza, parrebbe estremamente pericoloso in questi casi consentire una dilatazione dei termini di accertamento che, di fatto, eliminerebbe in tutte queste circostanze qualsivoglia affidamento ai termini di decadenza dell’accertamento normativamente previsti. E le conseguenze sarebbero gravissime, basti pensare al tema della durata delle garanzie contrattuali ogni qualvolta la società oggetto dell’operazione potenzialmente accertabile fosse in seguito oggetto di cessione.