13 Gennaio 2014

IVA per cassa: vale la pena riprovarci nel 2014?

di Fabio GarriniLuca Caramaschi
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A rischio di far perdere immediatamente di interesse a questo contributo, per onesta vale la pena di partire dalla risposta: assolutamente no. O meglio: solo in alcuni e specifici casi.

E allora perché parlarne? La risposta è semplice: perché il principio sul quale si basa tale regime – quello di rinviare il versamento dell’IVA addebitata al cliente solo al momento in cui perviene materialmente l’incasso della fattura – certamente fa molta presa sui clienti di Studio, alle prese spesse volte con importanti difficoltà di liquidità. E l’inizio del periodo d’imposta è proprio il momento in cui vanno valutate queste possibilità.

Occorre quindi essere pronti a spendere le dovute argomentazioni per scoraggiare il cliente che dovesse avanzare tale pretesa. Di seguito si cercheranno di riepilogare gli aspetti negativi (molti) di questo regime.

Gli aspetti negativi

Il difetto del presente regime è individuabile sostanzialmente nella mancanza reale di benefici: anzi, in molte situazioni, aderire al regime potrebbe addirittura portare con sé un danno finanziario nella gestione dei versamenti IVA. Vediamone il motivo.

Il differimento dell’esigibilità sulle operazioni attive porta con se il proprio “rovescio della medaglia”, ossia il rinvio del diritto alla detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti al momento in cui andremo a pagare le fatture ricevute dei fornitori. Questo, evidentemente, comprime di molto il vantaggio, lasciando qualche spazio di utilità solo nei casi in cui il tempo medio di incasso dai clienti risulti molto più lungo del tempo medio di incasso dai fornitori.

Ma vi è di più. Occorre infatti ricordare che alcune operazioni attive sono escluse dalla generalizzata applicazione del differimento all’esigibilità:

  • operazioni effettuate dai soggetti che si avvalgono di regimi speciali ai fini Iva,
  • cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate nei confronti di soggetti non Iva, quindi “privati consumatori”,
  • operazioni effettuate nei confronti dei soggetti che applicano il reverse charge,
  • operazioni ad esigibilità differita di cui al c.5 art.6 DPR 633/72, ossia operazioni che già beneficiano di un proprio differimento d’imposta (es: operazioni poste in essere nei confronti di enti pubblici).

Sul punto si ricorda che la C.M. 44/E/12 ebbe modo di affermare come “… l’adozione del sistema IVA di cassa, riguardando non le singole operazioni ma l’insieme delle operazioni attive e passive poste in essere dal contribuente, comporta il differimento della detrazione dell’IVA al momento del pagamento del prezzo relativamente a tutti gli acquisti, anche in presenza di operazioni attive che non possono usufruire dell’IVA per cassa, qualora quest’ultime e i relativi acquisti non siano oggetto di contabilità separata ai sensi dell’articolo 36 del DPR n. 633”

Questo significa, ad esempio, che se vengono poste in essere molte operazioni che non beneficiano del differimento all’esigibilità (es: molte operazioni nei confronti dei privati), vi sarà probabilmente molta più imposta a credito differita in acquisto rispetto a quella addebitata ai clienti e differita. Non è remota l’ipotesi per cui la posizione netta complessiva possa portare dei versamenti d’IVA superiori a quelli che vi sarebbero stati se si fosse prescelto il regime ordinario.

Inoltre, poiché il vincolo di permanenza nel regime è triennale, sarà necessario anche valutare le dinamiche attese di fatturato: si pensi ad un contribuente che vende all’ingrosso e decide di aprire un punto vendita in centro città. Tale soggetto probabilmente aumenterà sensibilmente il peso delle vendite nei confronti dei privati, per cui deve valutare con particolare cautela la possibilità di accedere al regime di IVA per cassa. Quindi non ci si può nemmeno accontentare di fare una valutazione “storica” della posizione”, ma occorrerà interrogare il futuro e ragionare sul prossimo triennio.

Si consideri poi che, come detto, quello descritto è un vero e proprio regime, visto che a differenza del precedente sistema abrogato, contenuto nel DL 185/08, il sistema attualmente in vigore deve applicarsi, salvo deroghe, obbligatoriamente a tutte le operazioni attive. Quindi perde anche quel vantaggio che il precedente regime aveva: esso poteva essere ad esempio utilizzato quando ci si trovava ad emettere una fattura nei confronti di un soggetto in dissesto, magari prossimo ad una procedura concorsuale (visto che il fallimento blocca il decorso del termine annuale che farebbe venir meno il differimento di esigibilità). Nel nuovo regime questo non può essere fatto, visto che si tratta di una opzione globale: in altre parole, “o tutto o nulla”.

Infine si ricorda che, dovendo procedere a liquidazioni che devono tener conto di incassi e pagamenti, di fatto viene a scomparire buona parte dei benefici derivanti dall’adozione di un sistema di contabilità semplificata; anche per i contribuenti in contabilità ordinaria è evidente come la gestione contabile divenga molto più laboriosa e comporti la necessità di aggiornamenti molto più repentini che devono seguire i tempi delle periodicità delle liquidazioni IVA stesse.

Pare, quindi, che salvo specifiche eccezioni da valutare con molta attenzione, ci siano buone argomentazioni per dimenticarsi di questo regime.