Collegio Sindacale, la Cassazione interviene sulle responsabilità
di Claudio Ceradini
La sentenza della Corte di Cassazione n. 23233/2013, dello scorso 14 ottobre, impone una ulteriore riflessione in merito ai doveri del Collegio Sindacale, con particolare riferimento agli obblighi di vigilanza disciplinati dall’art.2403 del C.C..
La vertenza oggetto della pronuncia di legittimità nasce nel lontano 1986, ed è riferita al comportamento assunto dal Collegio Sindacale nel corso della formazione del bilancio relativo a quell’esercizio. Segnatamente, il Collegio ha espresso giudizio positivo alla approvazione del bilancio nel maggior termine di cui all’art. 2369 C.C., e non ha vigilato con sufficiente diligenza su alcune delle poste patrimoniali, consentendo l’evidenza di una perdita inferiore rispetto a quanto poi accertatosi successivamente, alla data di apertura del fallimento. In altri termini l’intempestività dell’intervento del Collegio insieme alla omissione di vigilanza rispetto ad alcune poste per le quali gli elementi di valutazione erano già in quel momento chiaramente disponibili e sono stati ignorati, ha concorso, nell’ipotesi accusatoria, a causare il ritardo della dichiarazione di fallimento, aggravandosi di conseguenza il dissesto.
La difesa dei Sindaci, oltre che su questioni prettamente processuali che in questa sede poco interessano, si basa su due elementi: in primo luogo in Appello non sarebbe stato provato il nesso causale tra comportamento colposo e danno, e secondariamente il calcolo del danno non sarebbe stato puntuale, ma determinato dal giudice unicamente in via equitativa.
La Sentenza offre alcuni spunti interessanti.
Una prima considerazione attiene il nesso causale. Il presupposto giuridico della responsabilità civile in generale, così come per il sindaco, è la presenza contemporanea di colpa, danno e nesso causale, cioè rapporto causa effetto, tra i primi due fattori. Il carattere contrattuale del rapporto tra Sindaco e società comporta inoltre l’inversione, ai sensi dell’art. 1218 C.C., dell’onere della prova, a carico del Sindaco. La Sentenza in commento conferma il già formato filone giurisprudenziale secondo cui la disciplina dell’art. 2407 C.C., che prevede la responsabilità dei sindaci “quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica”, non conduce ad invertire a carico dell’organo di controllo l’onere di provare anche l’assenza di nesso causale, che rimane pur sempre a carico di parte attrice, e non convenuta. In altri termini la presunzione opera limitatamente alla condotta colposa, non estendendosi al nesso causale ed al danno.
La Suprema Corte, nel respingere il ricorso del Collegio Sindacale, reputa correttamente ricostruito, nella sentenza appellata, il nesso causale qualificandolo come indissolubilmente connesso al comportamento che ha cagionato, o anche solo consentito, il ritardo. Resta a carico di parte attrice l’onere probatorio quindi, che tuttavia nella specifica e peraltro frequente circostanza, pare essere divenga poco impegnativo.
La conclusione non appare per nulla illogica, specie se analizzata congiuntamente al secondo elemento importante, e cioè il danno ed il suo calcolo.
Correttamente, ed in questo senso si tratta di orientamento importante e sino ad ora per nulla scontato, il danno di cui il Collegio Sindacale è riconosciuto corresponsabile è pari al solo ampliamento dell’indebitamento ingeneratosi in conseguenza all’inattività del Collegio, e quindi nella fattispecie dalla fine del 1986 alla data di fallimento. Non operando in quel periodo l’art. 55 L.F. che avrebbe consentito l’arresto della maturazione degli interessi convenzionali, si è acconsentito ad un generalizzato incremento dei debiti per il solo trascorrere del tempo. Ad essere precisi, la valutazione del danno dovrebbe discendere dall’esame comparato dello sviluppo dell’indebitamento e dell’attivo, e quindi per sintesi del deficit patrimoniale. Il principio espresso dalla Corte di Cassazione, presuppone indebitamento crescente in condizioni di attivo costante, ma più probabilmente il secondo parametro varia, in più od in meno, comportando rispettivamente un minore o maggiore deficit, rispetto al semplice aumento del debito.
La determinazione infine del danno, in via equitativa e non analitica, appare alla Corte insindacabile, essendo opzione inclusa tra le facoltà discrezionali del giudice, a patto che le ragioni di difficoltà del calcolo puntuale siano ben evidenziate e motivate.
Le conclusioni che il sindaco può trarre dalla pronuncia in commento sono quindi più di una. In primo luogo ne esce ribadita, se mai se ne fosse sentito il bisogno, l’importanza centrale della condotta del sindaco, che assume contrattualmente con la società una obbligazione di mezzi, e non di risultato. Ove il comportamento fosse colposo, sta alla controparte provare danno e nesso causale. La particolare fattispecie del ritardo della constatazione dell’obbligo di ricapitalizzazione ex artt. 2447 e 2482ter C.C. costituisce di per sé comportamento colposo, omissivo dei propri obblighi di vigilanza. Ove ne seguisse un danno, e quindi un aggravamento dell’indebitamento, rectius del deficit patrimoniale, il nesso di causalità appare direttamente discendente dalla determinante del danno, cioè dal tempo. Crollato il baluardo del comportamento diligente, la difesa pare quindi in questo caso senza via d’uscita. Avendo in considerazione la frequenza con cui la situazione in esame si realizza, è utile che chiunque ricopra la carica di Sindaco abbia nella dovuta considerazione l’importanza centrale ed irrinunciabile della diligenza del proprio comportamento e della sussistenza di adeguati supporti probativi.