Delega di firma degli avvisi di accertamento da provare in giudizio: onere in capo all’erario
di Massimo Conigliaro
La delega di firma negli avvisi di accertamento è tema che continua a interessare la giurisdizione tributaria. Da ultimo la CTP di Reggio Emilia, sez. n. 3, n. 204 del 15 novembre 2013 ha ribadito che l’avviso di accertamento è nullo se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. E in caso di contestazione, “incombe all’Agenzia delle Entrate l’onere di dimostrare il corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza di eventuale delega, trattandosi di un documento, se esistente, già in possesso dell’amministrazione finanziaria, mentre la distribuzione dell’onere della prova non può subire eccezioni“. Ne consegue che laddove non risulti comprovata l’esistenza di una delega direttoriale, l’avviso di accertamento è da considerare privo di sottoscrizione e pertanto radicalmente nullo. I giudici di Reggio Emilia hanno pertanto accolto il ricorso del contribuente, annullato l’atto impugnato e condannato l’Amministrazione finanziaria al pagamento delle spese di giudizio.
L’avviso di accertamento, in quanto atto idoneo a incidere autoritativamente la sfera giuridico-patrimoniale del contribuente, è un atto amministrativo che deve riunire tutti gli elementi previsti dalla legge e tra i quali, quindi, anche la sottoscrizione, ovvero il segno documentato e certo che renda esplicita, con chiara procedura di delega, la piena adesione, quale soggetto investito del pubblico potere della rappresentanza dell’Agenzia delle Entrate. L’avviso di accertamento, nella disciplina dettata dall’articolo 42 del D.P.R. n. 600/1973, costituisce, infatti, atto amministrativo suscettibile di incidere sulla sfera giuridico-patrimoniale del contribuente e deve pertanto contenere tutti gli elementi essenziali tipici degli atti giuridici della Pubblica Amministrazione aventi carattere di provvedimento definitivo (così CTP di Vicenza, sez. n. 5, sentenza n. 46 del 9 maggio 2007). La ratio della norma è evidente: la rappresentanza in giudizio rientra nell’esercizio della pubblica funzione e viene conferita al titolare dell’ufficio. Se detto esercizio della funzione viene delegato, non può che esserlo a impiegato che per qualifica o profilo funzionale contribuisce a formare la volontà dell’ente pubblico. In buona sostanza il titolare dell’ufficio non può delegare persona che gode semplicemente della sua fiducia ed è ritenuta in grado di rappresentare l’ente in giudizio “poiché la potestà di delega, in quanto potestà e non diritto, non è libera nel suo esercizio e non può quindi prescindere, pur nella sua discrezionalità, dai principi di diritto” (cfr. CTP di Enna, sentenza n. 41 del 23.03.2006).
Appare evidente pertanto che l’ufficio, all’atto della costituzione in giudizio, non si possa limitare a controdedurre genericamente che il funzionario ha agito con potere di firma conferito da ordine di servizio interno, ma occorre poter verificare l’esistenza e la validità della delega in sede giurisdizionale, senza che ciò implichi un controllo sull’organizzazione interna della pubblica amministrazione, ma solo sull’esercizio della funzione amministrativa e degli atti integranti la relativa estrinsecazione.
La CTP di Reggio Emilia, con la pronuncia in commento, richiama e conferma i principi di recente espressi dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 14942/2013. In particolare “L’avviso di accertamento è nullo, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Se la sottoscrizione non è quella del capo dell’ufficio titolare ma di un funzionario, quale il direttore tributario, di nona qualifica funzionale, incombe all’Amministrazione dimostrare, in caso di contestazione, il corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell’ufficio, poichè il solo possesso della qualifica non abilita il direttore tributario alla sottoscrizione, dovendo il potere di organizzazione essere in concreto riferibile al capo dell’ufficio. (Cass. 17400/12).”.
A tale orientamento è stata data ulteriore continuità ribadendo che, nella individuazione del soggetto legittimato a sottoscrivere l’avviso di accertamento, in forza del D.P.R. n. 600/1973, articolo 42, incombe sull’Agenzia delle entrate l’onere di dimostrare il corretto esercizio del potere e la presenza di eventuale delega. Tale conclusione è effetto diretto dell’espressa previsione della tassativa sanzione legale della nullità dell’avviso di accertamento (cfr. in materia di II.DD. Cass. 17400/2012, 14626/2000, 14195/2000).
E’ da segnalare, invece, che in diversi contesti fiscali – quali ad esempio la cartella di pagamento, il diniego di condono, l’avviso di mora – opera la presunzione generale di riferibilità dell’atto all’organo amministrativo titolare del potere nel cui esercizio esso è adottato (Cass. 11458/2012, diniego di condono; 4283/2010, avviso di mora; 8248/2006, attribuzione di rendita; 13461/2012, cartella). Infine, da segnalare che per i tributi locali è valida anche la mera firma “stampata” ex articolo 3, comma 87 Legge n. 549/1995 (Cass. 9627/2012).