Non basta la volontà delle parti per configurare come ramo d’azienda l’oggetto della cessione
di Fabio Landuzzi
Con la sentenza n. 10740 del 8 maggio 2013 la Cassazione ha trattato dell’ennesimo caso di riqualificazione ai fini della imposizione Iva / imposta di registro di una cessione che le parti contraenti avevano ritenuto configurare trasferimento di un ramo di azienda. In particolare, la Cassazione ha affermato che ai fini della qualificazione come cessione di azienda (o ramo di azienda) non è mai decisiva la volontà espressa dalle parti negli atti; né pertanto può essere sufficiente il nomen iuris attribuito all’atto stipulato, in particolare quando la cessione ha per oggetto beni disaggregati e, come nel caso di specie, di modesta entità rispetto alla prevalenza dei marchi trasferiti.
La sentenza in commento ha quindi confermato l’orientamento secondo cui la corretta qualificazione dell’operazione deve basarsi sugli elementi probatori disponibili, avendo in particolare cura di verificare se i beni ceduti abbiano o meno, nel loro complesso, il carattere autonomo idoneo a consentire l’esercizio dell’impresa.
Il tema è tutt’altro che nuovo, e per nulla risolto, essendo spesso fonte di contenzioso con l’Amministrazione Finanziaria, poiché non di rado risulta controverso individuare in modo univoco la linea che separa la configurazione di un’azienda (la cui cessione é soggetta ad imposta di registro) rispetto ad un complesso eterogeneo di beni (la cui cessione è operazione soggetta ad Iva).
Dal punto di vista civilistico la nozione di azienda è contenuta nell’art. 2555 del Cod.Civ.. Dalla copiosa giurisprudenza che nel tempo si è espressa sulla materia è possibile trarre alcuni indicatori la cui esistenza privilegia la qualificazione di azienda o ramo di azienda dell’oggetto del trasferimento:
- L’elemento oggettivo: l’esistenza di un complesso di beni nell’accezione ampia del termine, ossia inclusiva anche di elementi materiali, immateriali, rapporti giuridici, ecc.
- L’elemento finalistico: da intendersi come l’organizzazione, ovvero il legame funzionale che rende l’attività idonea a tradursi nella realizzazione di beni o nella prestazione di servizi.
- L’idoneità del complesso dei beni organizzati all’esercizio di un’attività d’impresa, la quale deve sussistere ex ante, ovvero anche senza le probabili integrazioni che saranno compiute dal cessionario, benché l’attività di impresa possa essere anche non svolta dal soggetto cedente al momento del trasferimento in quanto non ancora iniziata oppure sospesa (Cassazione sentenza n. 897/2002 e 9162/2010).
- La funzione di mezzo per il conseguimento del fine dell’imprenditore: ovvero, i beni organizzati devono presentare fra di essi un legame di complementarità e di sinergia per divenire unitariamente lo strumento dell’attività d’impresa.
- – L’autonomia dei beni: ovvero la loro conservazione dell’attitudine ad essere mezzo per lo svolgimento dell’impresa anche una volta che essi vengano staccati dall’organizzazione del cedente.
Già l’Amministrazione Finanziaria (Risoluzione n. 250733 del 1995) aveva evidenziato che affinché si abbia cessione di azienda occorre che l’oggetto della vendita costituisca una organizzazione che includa i rapporti con i clienti, fornitori, lavoratori, e l’esistenza, seppure non indispensabile, di un avviamento. L’alienazione dell’azienda, quindi, presuppone non il passaggio di uno o di più beni aventi valore nella loro individualità giuridica, bensì di un insieme organizzato finalizzato ex ante alla attività d’impresa (Cassazione sentenza n. 1913/2007); a questo proposito, sempre la Cassazione (sentenza n. 1102/2013) ha ritenuto che la cessione di una testata giornalistica e di qualche bene mobile sia insufficiente a configurare un ramo di azienda, poiché un compendio di beni così composto non sarebbe tale da assicurare la prosecuzione dell’attività da parte del cessionario, senza una cospicua ed imprescindibile integrazione da parte di tale soggetto.