È davvero non deducibile la svalutazione degli immobili?
di Giovanni ValcarenghiL’emanazione della risoluzione n.78/E dello scorso 12 novembre, ci dà l’occasione di riflettere su un tema lungamente dibattuto in dottrina, risolto in maniera negativa dalla Entrate: ove si sia operata, a livello di rimanenze di bilancio, la valutazione di un bene a costo specifico (si pensi al caso degli immobili, ma non solo), l’eventuale svalutazione a seguito del decremento di valore è fiscalmente riconosciuta in deduzione? In sostanza, il criterio di derivazione dell’imponibile dal risultato di bilancio, supera la disposizione dell’articolo 92 del TUIR?
Il parere delle Entrate ad oggi è chiaro (in senso di non ammettere la deduzione della svalutazione) ed è stato manifestato in risposta all’interpello di una società che, dopo avere acquistato un bene ad una asta giudiziale, si è vista costretta a svalutarne il costo di iscrizione, a seguito di celate difformità edilizie, che ne hanno determinato un significativo deprezzamento. In ossequio ai canoni civilisti la svalutazione si rende obbligatoria, ma per il sol fatto di avere valutato la rimanenza a costo specifico, tale deprezzamento non è fiscalmente deducibile.
Per l’Agenzia, la disposizione dell’articolo 92 del TUIR svolge la funzione di tutela dell’imponibile e, per conseguenza, risultano ammesse in deduzione solo le svalutazioni esplicitamente citate dalla stessa, vale a dire quelle relative ai beni valutati con i criteri di natura forfetaria. Legittimare una interpretazione difforme, si afferma, rappresenterebbe una violazione della ratio della norma e condurrebbe a risultati difformi rispetto alle conclusioni raggiunte per i soggetti IAS adopter.
Va subito detto che la discussione attiene non una modalità specifica di determinazione dell’imponibile, ma esclusivamente il momento di rilevanza di un minor valore del bene rispetto a quello di acquisto; in definitiva, poiché stiamo parlando di valorizzazione delle rimanenze, per loro natura destinate alla successiva cessione (normalmente nel breve periodo), ciò che non fosse fiscalmente riconosciuto in un periodo di imposta troverebbe, giocoforza, rilevanza nel momento successivo della vendita, sotto forma di minor ricavo.
Detto ciò, a noi pare che, da un lato, il criterio di (s)valutazione civilistico si sovrapponga in modo perfetto al ragionamento di natura fiscale; la specifica previsione inserita letteralmente per i casi di valutazione con criteri standard, in realtà, si rende necessaria per il particolare modo di stratificazione “annuale” del valore, che potrebbe essere costituito da differenti componenti singolarmente superiori o inferiori alla quotazione corrente. Tale esigenza, ovviamente, non si rende attuale nel caso di valutazione a costo specifico.
Per altro verso, aderire alla tesi prospettata dalle Entrate significa affermare la irrilevanza del concetto di valore normale per i beni valutati a costo specifico; ma tale concetto appare smentito da altre norme del TUIR che, ad esempio in relazione ai redditi in natura o al transfer pricing, sanciscono la rilevanza assoluta di tale concetto.
Infine, cercare un parallelo di trattamento con i soggetti IAS ADOPTER può apparire non come una giustificazione, bensì come un controsenso, poiché appare chiaro che si tratta di due ambiti completamente indipendenti tra loro.
In conclusione, a noi pare che la risoluzione 78/E non sia da condividere in modo automatico come punto di approdo, tant’è che sono numerosi, in dottrina, gli spunti di natura esattamente contraria. Casomai, ci viene spontaneo rilevare che il documento, forse, appare come avente un contenuto “obbligato”; infatti, poiché i tipici beni valutati a costo specifico sono gli immobili, notoriamente interessati da un decremento di valore generalizzato sul mercato, avvalorare la deducibilità della svalutazione avrebbe determinato un decremento di gettito erariale non indifferente, specialmente nell’attuale situazione di mercato. Le esigenze di cassa, talvolta, sono più impellenti rispetto a quelle di corretta interpretazione della norma.
Quantomeno, possiamo ora dire di conoscere il pensiero delle Entrate, con la conseguenza che adottando comportamenti difformi (che a noi paiono assolutamente sostenibili) sarà certa una contestazione da contrastare in sede contenziosa.