Le immobiliari di gestione e l’annosa questione IMU
di Fabio Pauselli
I rumors di questi giorni sui problemi di copertura finanziaria conseguenti all’abolizione della seconda rata IMU sulla prima casa fanno emergere un quadro alquanto destabilizzante. In questo scenario c’è da auspicare che la tanto agognata deducibilità dell’imposta municipale dal reddito di impresa non resti una chimera. Come noto, infatti, è al vaglio dei tecnici di Via XX Settembre la possibilità di dedurre una quota percentuale dell’IMU dal reddito di impresa e/o professionale.
Ciò rappresenta, a parere di chi scrive, un atto dovuto soprattutto nei confronti di quelle immobiliari di gestione che, oltre a vedersi tassare dei proventi la cui riscossione diventa anno dopo anno sempre più difficoltosa, già devono rinunciare ad una miriade di costi considerati indeducibili, in primis quelli connessi alle spese di manutenzione. Non scordiamoci, infatti, che in base all’art. 90 del T.U.I.R. e alla circolare n. 10/E/2006, le spese di manutenzione ordinaria connesse agli immobili patrimonio delle società di gestione possono essere portate in riduzione dei canoni di locazione solo se documentate e solo se rimaste effettivamente a carico dell’impresa locatrice. Queste spese, inoltre, ove risultassero deducibili, devono sottostare all’ulteriore limite del 15% del canone di locazione, applicandosi di norma le regole proprie dei redditi fondiari.
Cosi, ad esempio, se l’immobiliare “pinco pallino s.r.l.” fosse proprietaria di un immobile patrimonio locato ad un canone annuale di € 20.000 e sostenesse delle spese di manutenzione ordinaria, documentate ed effettivamente rimaste a suo carico per € 3.500, potrebbe dedurne solo € 3.000 essendo indeducibile la quota residua di € 500 a causa del superamento della deduzione massima consentita dalla norma (20.000 x 15%). Se a questo aggiungiamo l’indeducibilità totale dell’IMU, è facile comprendere come il quadro generale diventi davvero sconcertante. I dati reali dimostrano che la pressione dell’IMU sui bilanci delle società immobiliari di gestione chiusisi nel 2012 sia davvero insostenibile: si pensi che una società immobiliare proprietaria di circa 120 immobili ha sborsato IMU per € 185.000, la cui incidenza sul totale dei costi di produzione sfiora il 60%!
Ulteriore beffa si registra per tutte quelle società immobiliari che sono proprietarie di immobili patrimonio tenuti a disposizione per gran parte dell’anno. Infatti, se è vero che l’IMU ha portato con se l’effetto sostitutivo dell’IRPEF dovuta su questi fabbricati, è anche vero che questo effetto non si produce per tutti gli immobili posseduti da imprese commerciali. Così la “pinco pallino s.r.l.” di turno, oltre a pagare l’IMU, dovrà calcolare il reddito derivante da eventuali immobili tenuti a disposizione, per non dire sfitti, facendo riferimento alla rendita catastale rivalutata e aumentata di un terzo in caso di abitazioni.
Ricapitolando, quindi, l’art. 90 del TUIR ci dice che per gli immobili non strumentali all’esercizio dell’impresa debbano applicarsi le regole proprie dei redditi fondiari seppur, tuttavia, ai sensi dell’art. 43 del medesimo Testo Unico, tali proventi non possano comunque considerarsi redditi di natura fondiaria! Se a questa impasse aggiungiamo il “delirio” normativo in materia di IMU, è facilmente comprensibile come la fonte di reddito immobiliare in ambito societario sia assolutamente penalizzata, con profili evidenti di iniquità e di doppia imposizione.