Studi e parametri: rileva anche l’aspetto finanziario
di Giovanni Valcarenghi
La sentenza n.23994 depositata, dalla Cassazione, lo scorso 23 ottobre 2013, offre lo spunto per ricostruire il corretto approccio con il quale vadano contrastate, in contenzioso, eventuali pretese dell’amministrazione in tema di parametri e studi di settore. Prima di entrare nel merito, sia consentito riscontrare come possa generare un brivido riscontrare che, nel 2013, si parli di una vicenda relativa al 1998 e, in aggiunta, per effetto di una decisione di Camera di consiglio assunta il 9 novembre 2012. Sarebbe già questo un bel record: 15 anni per giungere al traguardo e, quasi un anno, per scrivere 8 pagine di sentenza.
Nel merito, invece, la Corte si è occupata della seguente casistica: un lavoratore autonomo che, in relazione al periodo 1998, è stato raggiunto da un avviso di accertamento basato sui parametri. A seguito dell’impugnazione, lo stesso ha ottenuto l’accoglimento delle proprie pretese tanto in Commissione Provinciale che in Commissione Regionale, a seguito dell’appello dell’Ufficio. L’Agenzia ha impugnato la sentenza di 2° grado e si è così giunti dinnanzi alla Corte, con un contribuente che non ha svolto, in tale grado, alcuna azione difensiva (e già questo, potrebbe risultare un comportamento non vincente, sia pure se siamo perfettamente consci della spese che si deve sostenere e che, probabilmente, hanno spinto il soggetto a restare estraneo alla vicenda).
Nei primi due gradi di giudizio, il contribuente si è difeso sostenendo che il conteggio dei parametri non va considerato come una presunzione legale, ben potendosi, il caso concreto, distaccare dalla realtà empirica corrispondente ai modelli matematici predisposti nel tempo; inoltre, è stato dimostrato che lo stesso contribuente risultava credito di una grossa somma nei confronti di una azienda sanitaria locale, nei confronti della quale è stato predisposto formale atto di messa in mora, sia pure nel successivo anno 2001.
L’Agenzia delle entrate impugna la sentenza della regionale per i seguenti 3 motivi:
- mancanza della ricostruzione della fattispecie concreta;
- mancato riconoscimento della presunzione legale associata ai parametri;
- vizio motivazionale della sentenza, per la mancata motivazione delle ragioni che hanno indotto il giudice a ritenere non sufficientemente motivato l’avviso di accertamento.
In merito alle prime due questioni, le obiezioni dell’amministrazione sono state velocemente “liquidate” in poche righe; specialmente per quanto attiene il secondo punto, non intendo annoiare i lettori richiamando per l’ennesima volta i principi cardine che si sono ormai “cementati” nel tempo (impossibilità di valenza generalizzata di una ricostruzione matematica, fase imprescindibile del confronto nel contraddittorio, necessità di dimostrare il motivo per cui la ricostruzione parametrica sia più credibile rispetto a quella dichiarata dal contribuente, ecc.). Il documento richiama numerosi precedenti di giurisprudenza cui si fa integrale rinvio.
Appare invece più interessante notare che la terza censura dell’Agenzia è stata accolta, comportando la cassazione della sentenza con rinvio ad altra sezione della Regionale del Lazio, per la decisione. In particolare, si afferma che il vizio di omessa motivazione sussiste quando nella motivazione non sia chiaramente illustrato il percorso logico seguito per giungere alla decisione e non risulti comunque desumibile la ragione per la quale ogni contraria prospettazione sia stata disattesa.
Per presunzione (nella specie, in primis, un credito del contribuente da compenso per prestazione professionale), il contribuente, per resistere, deve contrastare tale prova e quindi, a questo fine, ha l’onere di dimostrare un fatto, positivo, vale a dire la percezione del reddito in un periodo diverso da quello ritenuto, sulla base di un preciso riferimento probatorio, dalla Amministrazione, ovvero la esistenza di impedimenti alla percezione o comunque di fattori idonei ad impedire l’incasso tempestivo dei compensi (Cass. Trib. 1508/1990). Invece, nella sentenza impugnata, si legge soltanto che:
- da un lato, andava confermata la censura mossa dalla CTP alle carenze di motivazione dell’atto impugnato:
- e, dall’altro, il contribuente aveva allegato al ricorso copia di un atto di diffida e messa in mora, in data 21/9/2001, con il quale egli aveva richiesto alla AUSL di Frosinone il pagamento di compensi per un importo complessivo di oltre un miliardo di vecchie lire, di cui circa 226 milioni relativi all’anno 1998.
In conclusione, possiamo notare come sia sempre opportuno che il contribuente (ove professionista), oltre a contrastare la debolezza giuridica di una ricostruzione dal sapore esclusivamente “matematico – statistico” abbia sempre tutto l’interesse ad operare una ricostruzione dei propri compensi che ponga in relazione il criterio di competenza con quello di cassa. Insomma, appare sempre tranquillizzante poter segnalare all’organo accertatore che, nell’anno interessato, sono state rese delle prestazioni che risultano incassate solo in periodi di imposta successivi. A tale riguardo, l’importanza di tale ragionamento è comprovato dalle integrazioni apportate negli ultimi anni agli studi di settore delle professioni, all’interno dei quali si ritrovano indizi di questo collegamento tra prestazioni e rese e prestazioni incassate.