La crisi del debitore: le note di accredito ed il recupero dell’IVA del creditore
di Claudio Ceradini
Dopo aver affrontato in un contributo di qualche giorno fa (vedi “Più ampi gli spiragli per la falcidia IVA in concordato” dell’11/09/2013) la posizione del debito erariale nella costruzione del piano concordatario, in cui iniziano ad aprirsi spiragli rispetto all’orientamento governativo e giurisprudenziale che hanno sino ad ora strenuamente difeso l’obbligatoria integrità del credito per IVA e ritenute, è il caso di soffermarsi su un secondo punto piuttosto confuso, in cui il perlomeno lo scarso coordinamento normativo tende ad aumentare i problemi in cui il creditore (falcidiato) incorre. Come se non bastasse la circostanza dell’incasso limitato e posposto nel tempo, al creditore si pone anche la questione del se e del quando poter recuperare la quota di IVA, che ha correttamente corrisposto allo Stato, e che non potrà incassare secondo lo schema istituzionale della rivalsa.
Sono recentemente intervenute integrazioni normative che hanno peraltro interessato unicamente il Tuir. L’art. 33, co. 5, del D.L. n. 83/2012 ha tra le altre disciplinato la questione delle sopravvenienze attive da falcidia, prevedendo la deducibilità delle perdite su crediti conseguenti non solo all’accesso del debitore ad una procedura concorsuale (fallimento o concordato), ma anche all’adozione di uno degli strumenti metaconcorsuali, e quindi il piano attestato di risanamento ex art. 67, comma 3, lett. d) L.F. o l’accordo di ristrutturazione del debito, ex art. 182bis L.F. Torneremo sull’argomento, e tuttavia vale la pena di precisare come il panorama della deducibilità di questo tipo di costo sia, pur con tutti i suoi difetti, abbastanza completo.
Per contro i commi 2 e 3 dell’art. 26 del DPR n. 633/72 non sono stati oggetto di alcuna modifica. La possibilità di recuperare l’IVA corrispondente alla parte di operazione fatturata che viene meno in tutto o in parte, resta limitata ai casi in cui il mancato pagamento derivi da una procedura concorsuale o alle ipotesi di procedure esecutive rimaste infruttuose. Poiché sia la dottrina più autorevole, sia anche l’Amministrazione Finanziaria (C.M. 8/E/2009, punto 4.2) convergono nel negare ai piani attestati e agli accordi di ristrutturazione il carattere della concorsualità, si deve constatare l’assenza, ad oggi, di riferimenti specifici alle conseguenze della adozione da parte del debitore di questi strumenti, negoziali e non concorsuali, di gestione del risanamento, che vorrebbero costituirne il veicolo nuovo e moderno, e che per affermarsi hanno bisogno di chiarezza, oltre che di convenienza. E’ necessario ricorrere alla disciplina generale dunque, pur consapevoli che il veloce recupero dell’IVA sui crediti falcidiati, indipendentemente dallo strumento che ne sia la causa o l’origine, costituisce in questa fase economica perlomeno delicata, una boccata di ossigeno finanziario e patrimoniale per il creditore.
Volendo quindi procedere con ordine, è utile distinguere. Ove il credito che patisca una decurtazione sia vantato nei confronti di soggetto ammesso ad una procedura concorsuale, le regole che ne determinano il diritto alla rettifica dell’IVA versata trovano disciplina specifica all’art. 26, co. 2, D.P.R. 633/1972 e nella C.M. 77/E/2000. Da un lato la legge prevede in questi casi il diritto del creditore alla emissione di nota di accredito IVA, per la quota proporzionale al credito, dall’altro la prassi circostanzia le condizioni, e quindi lo stato d’insolvenza del debitore e l’insinuazione al passivo. Allo stesso modo, in ragione della abituale lunghezza delle procedure, la prassi esenta questi casi dal rispetto del limite temporale massimo di dodici mesi dall’esecuzione dell’operazione per l’emissione della nota di accredito. Se così non fosse la norma si renderebbe di fatto inapplicabile, dopo che le parole “dell’avvio” che precedevano “di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose” sono state soppresse dall’art. 13bis, comma 1, D.L. 28.3.1997 n. 79, convertito, con modificazioni, dalla L. 28.5.1997 n. 140. Di questa modifica l’interpretazione è stata ovviamente la più conveniente per l’Amministrazione, che con un innaturale parallelismo tra esecuzione individuale e concorsuale ha stabilito nell’esaurirsi, comunque, delle procedure, il momento in cui scaturisce il diritto alla valida emissione della nota di accredito. Il presupposto dell’infruttuosità viene quindi oggi riferito, per il fallimento alla esecutività del piano di riparto o in assenza, alla scadenza dei termini di opposizione al decreto di chiusura (R.M. 86/E/2002), e per il concordato preventivo, al momento in cui il debitore adempie agli obblighi assunti, e quindi alla conclusione del piano, momenti che succedono di un tempo variabile ma mai breve quello di apertura della procedura (sentenza di fallimento o passaggio in giudicato del provvedimento di omologa).
Diverso il caso in cui il debitore usufruisca degli strumenti non concorsuali di risanamento. Non potendo essere inclusi tra le procedure concorsuali, allo stato dei fatti non si può che concludere, in presenza di un accordo di ristrutturazione del debito ex art. 182bis L.F. o di un piano attestato ex art. 67 L.F. che preveda una riduzione negoziata di alcuni debiti, per la possibilità di emettere nota di accredito per intervenuto accordo tra le parti, quale unica opzione che l’art. 26, co. 3, DPR 633/1972 rende disponibile, e non operando in questo caso l’esenzione dai 12 mesi, termine che nella pratica risulta molto spesso insufficiente.
Un intervento che allinei le disposizioni IVA con quelle del Tuir sarebbe quanto mai opportuno, avendo in considerazione il carattere eccezionale di queste norme, nell’ambito di un quadro agevolativo del risanamento, che deve accompagnarne l’impostazione e l’esecuzione.