Giurisprudenza più severa del fisco
di Giovanni ValcarenghiNon sempre l’errore scusabile sul calcolo di sanzioni ed interessi salva il contribuente dall’applicazione delle sanzioni ordinarie per omessi o tardivi versamenti; questo è il messaggio che si può trarre dalla lettura della sentenza n.203 della CTR Lazio, pronunciata il 17 giugno 2013 e depositata lo scorso 9 luglio 2013. Insomma, sembra di avere invertito la marcia rispetto alla situazione creatasi dopo l’emanazione della circolare 2 agosto 2013.
Vediamo di ricostruire la vicenda.
Un contribuente non aveva versato tempestivamente l’IVA relativa ad una liquidazione periodica; probabilmente, l’emissione dell’avviso bonario è rimasta senza esito, determinando l’iscrizione a ruolo e la successiva emissione della cartella esattoriale. La cartella veniva impugnata dal contribuente, sostenendo (probabilmente) che il versamento fosse in realtà stato effettuato con ravvedimento operoso, sia pure versando importi insufficienti a coprire il corretto calcolo di sanzioni ed interessi.
L’Agenzia ha appellato la sentenza di primo grado, sostenendo la tesi (dovremmo dire ormai stantia) del mancato perfezionamento del ravvedimento operoso per effetto della carenza degli importi versati a titolo di sanzioni ridotte ed interesse. Il contribuente non si è neppure costituito e, crediamo, questa sua latitanza non è stata ben accolta dai Giudici.
La sentenza ha un dispositivo molto scarno che, tecnicamente, richiama il testo dell’articolo 13 del decreto legislativo 472/1997. La citata norma richiede, perché sia perfezionato il ravvedimento operoso, che siano versati integralmente gli importi conteggiati a titolo di sanzione e di interesse; pertanto, poiché nel caso specifico non risulta dimostrato l’osservanza di tale adempimento, si conclude in maniera scarna legittimando l’applicazione delle sanzioni contenute nel ruolo e nella cartella esattoriale.
Eppure, il pensiero ufficiale delle Entrate è parzialmente difforme rispetto alle conclusioni sopra raggiunte; infatti, in caso di versamento insufficiente si è ritenuto esistente un ravvedimento, sia pure non riferito all’intero importo, ma solo ad una quota dello stesso. Per comprendere, ed utilizzando delle cifre casuali, se intendevo ravvedere un versamento di 100 e non ho versato a sufficienza sanzioni ed interessi, il ravvedimento potrà considerarsi perfezionato solo per 80 e, conseguentemente, le sanzioni piene dovranno essere applicate solo sulla quota residua: perché ciò avvenga, tuttavia, la circolare richiede che sul modello F24 sia compilato un rigo con il codice tributo relativo alla sanzione, proprio per giustificare l’esistenza della intenzione di aderire al ravvedimento.
Insomma, se l’intenzione è palesata, l’errore non inficia in toto la procedura, ma ne determina la non efficacia solo in misura parziale.
Nel caso di specie, nella realtà, non si comprende in modo chiaro se sul modello F24 del ravvedimento fossero state esposte delle somme a titolo di sanzione; tuttavia, al lettore alieno delle vicende fiscali, oppure a colui che applica semplicemente la logica, può apparire strano il fatto che, dopo che sia stato accertato a livello centrale che un ravvedimento imperfetto può comunque essere considerato, la stessa Agenzia delle entrate non abbia richiesto alla commissione la corretta ricostruzione della vicenda, riducendo l’importo irrogato a titolo di sanzione.
Probabilmente, la risposta va ricercata nella data di pronuncia della sentenza (precedente) e nella data di emanazione della circolare (successiva); al momento dell’assunzione della decisione non era stata ancora ufficializzato il pensiero ufficiale dell’Agenzia. Peraltro, dopo che è stata pronunciata una sentenza, ove non più impugnabile, nemmeno potrebbe essere assunto un provvedimento di autotutela. Quindi la questione specifica è bloccata, restando l’unica considerazione, per il contribuente, che è stata ritenuta applicabile la compensazione delle spese.
Sono casi come questi dove ci si rammarica della mancata applicazione, prima da parte dell’amministrazione e, successivamente, da parte dei Giudici, di un minimo di elasticità nella gestione delle vicende fiscali, specialmente dinnanzi a coloro che, sia pure con ritardo, hanno in un qualche modo adempiuto all’obbligazione tributaria. Il formalismo (ed il tenore letterale della norma), dunque, supera una applicazione ragionevole dei poteri di controllo.
Probabilmente, ora, situazioni del genere potrebbero non accadere più; di certo, è necessaria una partecipazione attiva al processo tributario e non un atteggiamento passivo (come nel caso di specie) che rischia di lasciare dirigere il pensiero dei Giudici verso la soluzione meno gradita.