Non basta l’indicazione “omesso o carente versamento” per motivare la pretesa fiscale
di Nicola Fasano
Nulla la cartella che indichi a fondamento della pretesa erariale la semplice dizione “carente o omesso versamento”. E’ quanto ha concluso la Corte di Cassazione con la recente ordinanza n. 20211 del 3 settembre 2013.
La pronunica, molto stringata, ha così deciso in merito al ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza della Ctr Lazio n. 808/40/09 del 28 dicembre 2009 che accoglieva l’appello della contribuente avverso la sentenza di primo grado dichiarando la nullità di cartella esattoriale relativa ai redditi IRPEF 2001. In particolare la Suprema Corte ha ritenuto che l’indicazione di un “omesso o carente versamento” non costituisce adeguata motivazione di una pretesa fiscale.
Fra l’altro la contribuente non si è neanche costituita in giudizio, il che avvalora ulteriormente le conclusioni a cui è addivenuta la Suprema Corte secondo cui, inoltre, l’eventuale contestazione da parte dell’Agenzia circa l’insufficienza della motivazione doveva, semmai, essere fatta nel giudizio di merito tramite il mezzo revocatorio e non rivolgendosi ai giudici di legittimità.
E’ di tutta evidenza la delicatezza della questione che ha una portata molto ampia visto che praticamente tutte le cartelle recano come unica motivazione (se così la si vuole chiamare) la frase “carente o omesso versamento” e una serie di codici riguardanti i vari tributi, risultando di difficile comprensione.
Il principio espresso dalla Cassazione pertanto potrebbe avere un impatto molto rilevante soprattutto in quei casi in cui la cartella segua un avviso bonario (che non è atto impositivo e, in particolare nell’ambito dei controlli formali ex. art. 36-bis, D.P.R. 600/1973, reca di fatto indicazioni numeriche molto criptiche, senza alcuna apprezzabile spiegazione) o, a maggior ragione, quando l’avviso bonario manchi del tutto (questa ipotesi è abbastanza frequente qualora l’Ufficio a seguito del controllo automatico della dichiarazione non riscontri irregolarità o errori di calcolo, ma “semplicemente” l’omesso o l’insufficiente versamento).
Occorre, tuttavia, non lasciarsi andare a facili entusiasmi. La stessa Cassazione ha assunto posizioni completamente differenti sul tema della motivazione delle cartelle.
Con la sentenza 2373/2013 (che a sua volta richiama la pronuncia 1722/2010 a Sezioni Unite della stessa Corte), ad esempio, i giudici di legittimità hanno ritenuto che l’assenza di motivazione della cartella esattoriale non può condurre alla dichiarazione di nullità, allorché la cartella sia stata impugnata dal contribuente il quale abbia dimostrato in tal modo di avere piena conoscenza dei presupposti dell’imposizione, per averli puntualmente contestati, ed abbia omesso di allegare e specificamente provare quale sia stato in concreto il pregiudizio che il vizio dell’atto abbia determinato al suo diritto di difesa. Va osservato, tuttavia, che tale pronuncia riguardava una cartella derivante da avviso di accertamento, atto che generalmente contiene una corposa parte motiva.
Si tratta, inoltre, di temi su cui, purtroppo, la “ragion di Stato” spesso prende il sopravvento sugli aspetti strettamente giuridici: è abbastanza recente per esempio il “salvataggio retroattivo” che lo stesso legislatore (art. 36, comma 4-ter, D.L. n. 248 del 2007) ha messo in atto al fine di sanare le “vecchie” cartelle prive dell’indicazione del responsabile del procedimento.
Deve osservarsi però come nel caso affrontato dall’ordinanza 20211/2013 si tratti di vizi non di natura “solo” procedimentale ma ancor più rilevanti poiché impattano direttamente sulle ragioni della pretesa erariale e minano irrimediabilmente il diritto di difesa del contribuente.
In definitiva, l’ordinanza , rappresenta senz’altro un punto a favore del contribuente e una buona carta da giocare in contenzioso, nella consapevolezza però che si dovranno attendere ulteriori conferme dell’orientamento pro contribuente.