Tremonti ambiente: perizia non obbligatoria, ma utile
di Leonardo Pietrobon
La mancata indicazione dei vantaggi derivanti dalla realizzazione di un investimento ambientale non inficia il beneficio fiscale, di cui all’art. 6, commi da 13 a 19 della L. n. 388/2000, c.d. “Tremonti ambientale”. Questo è, in estrema sintesi, quanto affermato dalla Commissione tributaria provinciale di Treviso con la sentenza n. 66/4/13 del 12.7.2013.
Come noto, la disposizione prevede una sorta di agevolazione fiscale per le c.d. “PMI” che effettuano investimenti di tipo ambientale, intendendo per investimento ambientale, ex comma 15 dell’art. 16 L. n. 388/2000, “il costo di acquisto delle immobilizzazioni materiali di cui all’articolo 2424, primo comma, lettera B), n. II, del codice civile necessarie per prevenire, ridurre e riparare danni causati dall’ambiente”.
Da un punto di vista meramente operativo, l’agevolazione consistente in una riduzione del reddito imponibile, applicabile esclusivamente agli investimenti diretti a tutelare l’ambiente dall’esercizio della propria attività d’impresa. In merito all’individuazione degli investimenti agevolabili, di ottimo aiuto risulta essere la Raccomandazione 2001/453/CE del 30 maggio 2001 denominata “Disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela dell’ambiente”, la quale al paragrafo 36 precisa come, ai fini del conseguimento degli aiuti comunitari gli investimenti interessati, gli interventi sono “quelli realizzati in terreni, sempreché siano rigorosamente necessari per soddisfare obiettivi ambientali, nonché in fabbricati, impianti e attrezzature destinati a ridurre o ad eliminare l’inquinamento e i fattori inquinanti o ad adattare i metodi di produzione in modo da proteggere l’ambiente”.
La prassi amministrativa a supporto delle regole inerenti tale agevolazione è risultata su alcuni passaggi alquanto lacunosa, lasciando spazio a dubbi ed interpretazioni sfociate in attività accettative basate prevalentemente – se non esclusivamente – sugli aspetti “qualitativi” e “quantitativi” dell’agevolazione, ossia sul raffronto tra “investimento ambientale” e “investimento non ambientale” in termini di determinazione dei futuri vantaggi generati dal c.d. investimento ambientale, di incrementi di produttività, risparmi di spesa ed eventuali produzioni accessorie aggiuntive introdotte con lo stesso.
In particolare, l’Agenzia delle entrate, con la R.M. 226/E/2002 – trattando un caso di estrema semplicità, costituente nella sostituzione di un macchinario al fine di ottenere un incremento di produttività e un minor impatto ambientale – ha indicato che “l’investimento ambientale deve calcolarsi come maggiore costo sostenuto dall’impresa per l’acquisto del bene con le caratteristiche di tutela ambientale rispetto al minor costo che l’impresa avrebbe sostenuto se, nell’acquisizione del bene stesso, non avesse valutato gli effetti sull’ambiente della propria attività, al netto dei benefici attesi in termini di maggiore produttività e minori costi futuri” (…). E’ quanto mai opportuno – prosegue l’Agenzia – tuttavia, che le caratteristiche tecniche dei beni oggetto d’investimento, tanto con riferimento alla loro capacità di ridurre l’impatto ambientale quanto di generare futuri risparmi di spesa, siano certificate da soggetti preposti a tale scopo con la specifica menzione che gli stessi sono necessari per prevenire, ridurre e riparare danni causati all’ambiente e che non trattasi di investimenti realizzati in attuazione di obblighi di legge”.
Nonostante tale indicazione, nella questione affrontata dalla CTP di Treviso avente ad oggetto l’acquisto di una macchina di stampa digitale con inchiostri UV a basso impatto ambientale, l’Agenzia delle entrate disconosce l’agevolazione Tremonti ambientale, in quanto, a suo parere, non è emersa in modo specifico l’analogia tra bene ambientale e bene non ambientale, nonché non sono state dimostrate le caratteristiche tecniche dell’investimento, quali gli incrementi di produttività, e il raffronto tra bene le due tipologie di beni – ambientale e non ambientale – in termini di costi di gestione e manutenzione.
A tal proposito, con la citata sentenza n. 66/4/13, la Commissione tributaria provinciale di Treviso, richiamando peraltro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia n.19/4/12 del 29.2.2012, ricorda che “la legge n. 388/2000 tuttavia, non condiziona il beneficio fiscale all’incombenza di indicare specificamente i vantaggi in termini di risparmi e la prassi ha previsto non l’obbligatorietà, ma l’opportunità della relazione tecnica a corredo dell’investimento che ne certifichi le caratteristiche nella potenzialità di ridurre e riparare i danni causati all’ambiente”.
Ancora più eclatante in tale direzione risulta essere ancora la sentenza della CTP di Treviso n. 7/5/13 del 10.1.2013, la quale decidendo sulla medesima materia avente ad oggetto un impianto fotovoltaico e quindi di difficile – se non impossibile – comparazione con altri investimenti non ambientali, ha stabilito che “la mancanza di raffronto chiaro ed univoco comunque non può costituire un motivo per escludere totalmente una detassazione che ha i requisiti voluti dalla Legge”.