Il concordato preventivo rischia di scontare l’IRAP
di Claudio CeradiniNon è per nulla chiaro se si possa pacificamente assicurare al concordato preventivo l’esenzione da IRAP per i proventi derivanti dell’esecuzione del piano, e che costituiscono il presupposto del risanamento. La circostanza è perlomeno “fastidiosa”, tenuto conto dell’evidente finalità dell’istituto, il risanamento, che poco si concilia con la tassazione dei proventi che lo consentono. La ratio è questa, e si deve supporre che solo lo scarso coordinamento legislativo abbia condotto alla attuale situazione di incertezza, in cui è pacifica l’esenzione da IRES ed IRPEF, e non lo è quella da IRAP.
Sorvolando su oggettivamente meno significative questioni di definizione della competenza, poco allineata tra civile e fiscale, l’IRES dispone di chiara norma agevolativa nella misura in cui gli artt. 86, comma 4 e 88 comma 5 Tuir espressamente escludono da tassazione rispettivamente plusvalenze e sopravvenienze “concordatarie”. L’art. 55 Tuir, disponendo il richiamo di l’applicabilità ai fini IRPEF delle norme che disciplinano il reddito delle attività commerciali, di fatto rende operativa l’esenzione anche per i pur rari concordati di imprenditore persona fisica.
Per l’IRAP invece il quadro non è semplice. Va premesso che il principio di derivazione stabilito dall’art. 5, comma 1, D.Lgs n.446/1997, con precise eccezioni, consentirebbe una deduzione piuttosto piana. Non essendo disciplinata alcuna esenzione specifica per plusvalenze e sopravvenienze conseguite per effetto della esecuzione di un piano concordatario, andrebbero richiamati ed utilizzati i criteri che tecnicamente qualificano la natura del provento e ne stabiliscono la collocazione in conto economico. Tra gli altri l’OIC 5, al punto 5.2.1 lettera B)e), qualifica come straordinarie sia le plusvalenze che intervengono nella cessione di beni nella fase liquidatoria, sia anche le sopravvenienze attive derivanti dalla riduzione dei debiti (da falcidia), prevedendone di conseguenza la collocazione in E20 del conto economico. Si esprime nello stesso senso anche l’OIC 6, che al punto 6.2 prevede che debbano essere iscritte in E.20 i componenti positivi di reddito che conseguono all’esecuzione dell’accordo di ristrutturazione o del piano concordatario.
Principio di derivazione e orientamenti tecnici consentirebbero una confortevole conclusione, se non fosse da un lato per la limitazione costituita dalla tassazione, indipendentemente dalla collocazione in conto economico, dei proventi che trovino connessione con componenti di costo deducibili da IRAP, di cui all’art. 5, co. 4., e dall’altro per l’evoluzione normativa che è intervenuta nella disciplina degli strumenti concorsuali, che rende datate le pur opinabili interpretazioni fornite dall’Amministrazione Finanziaria.
Volendo sintetizzare, il problema è comprendere se sopravvenienze e plusvalenze conseguite nel corso di una ristrutturazione del debito o di un concordato, certamente di natura straordinarie, formino o meno base imponibile IRAP, o, in altri termini, se la collocazione in E.20 sia o meno condizione sufficiente per escluderne la tassabilità.
Distinguendo l’analisi, per le plusvalenze il riferimento è alla datata C.M. 141 del 4/6/1998, con la quale l’Amministrazione ne tenta di giustificare l’attrazione a tassazione, fatta eccezione per quelle da cessione di azienda, proprio in forza alla citata norma di limitazione del principio di derivazione di cui in origine all’art. 11, co. 3, trasfuso poi nell’attuale art. 5, co. 4. Indipendentemente dalla natura della plusvalenza quindi, da ordinaria sostituzione di cespiti o da straordinaria cessione di asset, è la correlazione con costi dedotti che fa la differenza. Impostazione invece diversa quella della successiva R.M. n.29/E del 01/03/2004 che non fa riferimento al citato art. 5, co. 4, ed invece esclude da IRAP le plusvalenze da cessione di beni in concordato, che qualifica come straordinarie. Nel 2009, con C.M. 27/E del 26/05, l’Amministrazione torna sul tema, amplia il panorama delle fattispecie tassabili, qualificando come poco coerente la tassazione delle sole plusvalenze da cessione di beni patrimonio (art. 5, co. 3, secondo periodo) e non di beni strumentali, e qualificando poi quelle conseguenti alla cessione di azienda come sempre straordinarie, in quanto. L’ultimo orientamento parrebbe quindi di apertura, rispetto al pronunciamento risoluto della C.M. n.141/98. Alla interpretazione più restrittiva, si affianca con maggiore dignità quella più possibilista, ma è inutile dire che sarebbe auspicabile un intervento interpretativo e risolutore dell’Amministrazione Finanziaria, soprattutto oggi che gli strumenti tendono al risanamento, potendosi spesso con certa difficoltà distinguere la plusvalenza da sostituzione da quella straordinaria. La logica decisamente auspicabile oggi deve essere quella della minimizzazione del carico tributario nel risanamento, che ancori come per l’IRES l’esclusione da base imponibile all’utilizzo di uno strumento concorsuale. Ci si allineerebbe in sostanza a quanto disciplinato pur in modo non semplice, per il fallimento, fatta eccezione per il caso in cui sia previsto l’esercizio provvisorio, ai sensi dell’art. 19 e del richiamo all’art. 10 D.P.R. 600/1972, anche se non più vigente, il cui contenuto è stato trasfuso all’art. 5, co. 4, DPR 322/1998.
Il merito al secondo evento tipico del concordato, la sopravvenienza attiva da falcidia, è di certo rilievo l’orientamento delle Suprema Corte, che con sentenza n.17603/2010 ha ribadito l’applicabilità dell’art. 5, co. 4.. Diverrebbe quindi non imponibile la falcidia di quei crediti che non hanno mai generato componenti di costo esclusi deducibili da IRAP, rimanendo quindi imponibili quelle da falcidia dei debiti originati da costi o operazioni deducibili. Di conseguenza la falcidia dei debiti commerciali pagherebbe IRAP, quella dei debiti finanziari, esclusi i leasing, no. Va segnalata anche la sentenza della Cassazione n.11217 del 20/05/2011, che individua un meccanismo molto complesso di selezione, basato sulla modifica del valore originario della transazione, sostanzialmente estraneo al funzionamento degli strumenti di risanamento, che operano una riduzione del debito, senza normalmente modificare il valore originario delle transazioni.