Credevamo fosse amore
di Michele D’AgnoloLe prestazioni professionali sono considerate dagli economisti dei beni di natura molto particolare.
Quando vado al supermercato e compro un vaso della mia crema di gianduia preferita, so perfettamente quale consistenza e quale sapore attendermi. Raramente il mio acquisto sarà deludente e i miei brufoli e la pancetta regolarmente aumenteranno. Un piccolo omaggio al suo inventore, recentemente scomparso, grande imprenditore italiano e maestro di marketing.
Quando vado dal medico invece, non so mai se il suo intervento sarà di un qualche beneficio. Lo saprò solo dopo averne fruito, e quindi dopo aver condiviso la sua severa diagnosi e aver svolto diligentemente la cura propostami. Mi sembra già di sentirlo: “Devi smetterla di mangiare la crema alla gianduia se vuoi dimagrire e se vuoi che ti passino i brufoli…”
E nel momento in cui avessi un nuovo e diverso malessere, si ricomincerebbe daccapo. In altre parole, l’ortopedico che ci ha sistemato il ginocchio destro non è assolutamente detto che riesca a fare altrettanto con quello sinistro che gli affideremo il prossimo anno. Basta una giornata storta, un attimo di disattenzione e il nostro adorato e unico tendine farà la fine di una vecchia fionda. Slabbrato e inservibile.
Al limite, potrebbe perfino capitare che io ascriva al dottore una miracolosa guarigione che in realtà è giunta da sola. Sembra che solo con la crema di gianduia riusciamo a verificare il rapporto causa-effetto con il nostro benessere.
La singolare circostanza per cui la qualità di un servizio non è generalmente conoscibile a priori, è peraltro foriera di sorprendenti corollari.
Se è vero che posso valutare la bontà di una prestazione professionale solo ex post allora questo significa che nessuno al mondo è in grado di scegliere razionalmente il proprio professionista.
Ne deriva che la scelta di tutti i professionisti del mondo non avviene in modo razionale ma in modo squisitamente emotivo.
Ed in effetti i criteri con i quali scegliamo i nostri professionisti sono basati sulla manifestazione esteriore della professionalità in quanto il dato che ci interessa non è disponibile.
Scegliamo il professionista amico, del quale conosciamo, nel privato, la serietà e la moderazione. Magari sul lavoro è un cialtrone. Scegliamo il docente universitario, anche se forse aspetta solo noi per sperimentare le sue nuove teorie. E sempre che riusciamo a schiodarlo dalla scrivania. Ci rivolgiamo al medico che ci è stato segnalato da qualcuno che crede di averne avuto giovamento. Chissà quanta gente avrà ammazzato. Scegliamo il professionista con lo studio nella via più centrale della città, ma l’unico vantaggio certo è che ci costerà una fortuna di parcheggio. Scegliamo l’avvocato impeccabile, che veste sempre elegante, non pensando che l’abito non fa il monaco e che in ogni caso la tonaca gliela finanziamo noi. Scegliamo il consulente del lavoro che scrive assiduamente sul Sole 24 Ore. Forse sarebbe meglio prenderne uno che il giornale, di tanto in tanto, lo legge.
E parimenti scartiamo il professionista antipatico che magari ci potrebbe salvare o quello chiacchierato o inquisito per l’unica leggerezza compiuta in quarant’anni di onorata professione. O perché ha semplicemente dato fastidio a qualcuno.
Da qui l’importanza della cura della reputazione dello studio, che dipende anche dalla chiacchiera dei dipendenti e dei collaboratori e dai comportamenti extraprofessionali di tutti coloro che lavorano al suo interno.
Da qui origina anche l’enorme importanza dell’immagine dello studio. E la necessità di curare l’empatia e l’abbigliamento, che non sono un vezzo dei titolari. Non puoi venire in studio sudato, puzzolente e con i mutandoni da bici belli aderenti perché sei un salutista ne’ (purtroppo) in perizoma e con l’ombelico in bella vista. Funzionale, forse sexy, ma generalmente inadatto. Nessuno critica lo stile di vita dei collaboratori, non ci permetteremmo mai. E l’abbigliamento è un modo profondo di esprimere la propria personalità. Ma i clienti si aspettano non solo che siamo, ma che ci comportiamo e ci atteggiamo da professionisti. Non è un caso se gli ottici o i farmacisti hanno il camice anche se non preparano più nulla.
Conseguentemente, per le professioni giuridiche ed economiche, è molto importante curare l’ordine degli uffici. D’altronde che faccia fareste se anziché il solito profumino di disinfettante e la filodiffusione a manetta, all’ingresso del vostro odontoiatra preferito trovaste dietro le piante finte una persona urlante che corre tutta lorda di sangue inseguita da un tizio imbavagliato e vestito di verde? Eppure spesso nei nostri studi bisogna dare i calci ai fascicoli per trovare la via del corridoio.
Per i commercialisti, ad esempio, è importantissimo non sbagliare le notule e le fatture ai clienti. Altrimenti il cliente sarà legittimato a pensare che non siamo in grado di aiutarlo. Se non sappiamo curare neanche la nostra di contabilità, figuriamoci cosa faremo della sua.
E pensare che quando riceviamo un incarico complesso, remunerativo o prestigioso ci sentiamo onorati e gratificati. Riteniamo di essere stati scelti per la nostra bravura e invece chissà qual è il vero motivo per cui siamo stati selezionati. Forza dell’abitudine, rassegnazione, pretese economiche modeste, supina accettazione di rischi, comodità della sede rispetto agli uffici del cliente? Alle volte, per tenere alto il morale, è meglio non saperlo. Credevamo fosse amore, invece era un calesse.