5 Agosto 2014

Nel lavoro professionale la motivazione è tutto

di Michele D’Agnolo
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È un aforisma perfino troppo noto quello che ci introduce oggi al concetto di motivazione professionale. Da Francois Michelin, patron dei pneumatici all’ex Presidente del Consiglio Enrico Letta, non c’è consulente di direzione, imprenditore o politico che non abbia almeno una volta nella sua vita professionale raccontato la storiella della “costruzione della cattedrale”.

Si tratta di un apologo, attribuito a Michelangelo Buonarroti, che risalirebbe ai primi del ‘500 e ai lavori per la Fabbrica di San Pietro, durati assai oltre un secolo.

Come vuole la leggenda, durante la costruzione fu rivolta a turno a tre scalpellini la stessa domanda: “Che cosa stai facendo?”

  1. “Come vedi, sto tagliando pietre”, rispose il primo in tono seccato.
  2. Il secondo rispose invece: “Mi guadagno la vita per me e per la mia famiglia”.
  3. Ma il terzo disse con orgoglio: “Sto costruendo una cattedrale!”.

In questa suggestiva metafora sul lavoro i tre artigiani compiono la stessa, identica attività, ma gli esiti sono radicalmente diversi perché ogni persona attribuisce alle proprie azioni un po’ di sé stesso.

Il primo lavoratore percepisce solo l’esperienza della natura umile e monotona del suo lavoro. Perciò la sua risposta esprime un senso di inutilità e di frustrazione, che riscontriamo purtroppo con frequenza nei nostri dipendenti e collaboratori e forse, talvolta, anche guardandoci allo specchio.

Il secondo nel lavoro cerca solo una finalità economica e strettamente personale, rinchiudendo tutto nel piccolo orizzonte del suo interesse. La professionalità è per lui uno strumento economico.

E’ solo il terzo la persona capace di andare oltre la superficie che avvolge le cose e gli atti umani, scoprendone il senso ultimo. Senza il suo gesto semplice e dignitoso la cattedrale non avrebbe mai raggiunto, secondo lui, la sua verità e la sua pienezza.

E invero, la motivazione in studio è importantissima. Se non ci credete provate a pensare a cosa succede quando entrate in ufficio al mattino. Il personale vi guarda in volto e cerca di intuire il vostro umore per sintonizzare il proprio.

È impossibile accollarsi e risolvere i problemi degli altri se non si è fortemente motivati. Chi non è adeguatamente motivato non può svolgere una attività professionale o paraprofessionale. La motivazione deriva dal carattere o da qualcosa che la persona vuole dimostrare a sé stessa o agli altri. La motivazione muta in quantità e qualità a seconda delle circostanze, e quindi cambia nel tempo. Se abbiamo un mutuo da pagare ci sentiremo più vicini allo scalpellino 2, mentre se viviamo di rendita ma abbiamo un interesse smodato per la partita doppia saremo probabilmente uno scalpellino 3. Ci saranno dei momenti, magari dopo un avviso di garanzia ricevuto ingiustamente, in cui ci sentiremo come lo scalpellino 1.

Il problema è che sovente scalpellino 1 fa errori, ci mette il doppio del tempo a fare i lavori, è scortese con i colleghi e con i clienti, critico nei confronti della direzione e quindi tende a creare situazioni poco desiderabili.

Non è facile trasformare uno scalpellino 1 o 2 in uno scalpellino 3. È dovere dei titolari dello studio provarci e questo più di qualche volta non avviene per noncuranza, incompetenza o mancanza di tempo.

Spesso addirittura la carenza di motivazione all’interno dello studio è legata alla carenza di motivazione dei titolari, o dalla loro incapacità di comunicarla, di trasmetterla agli altri.

Per molti professionisti la crisi non è stata solo un attentato al conto economico dello studio, ma è stato anche scoprire che nel nostro lavoro non c’è alcuna garanzia di successo. In altre parole è venuto meno il contratto psicologico tra lo stato e il professionista. Il sottinteso psicologico precedente prevedeva di fatto un certo benessere in cambio della tutela dell’interesse pubblico. Oggi, invece, con l’iscrizione all’albo, lo stato ci dà la patente ma non ci garantisce, come di diritto non ha mai garantito, che avremo abbastanza clienti da portare a casa il pane. Grazie alla crisi i professionisti inoltre hanno scoperto che non c’è alcuna correlazione certa tra sforzo e risultato. Ci sono professionisti che si immolano al lavoro e che hanno molto meno successo di altri che sembrano invece trascorrere le loro giornate in disimpegnato benessere. In questo nuovo mondo apparire conta almeno tanto quanto essere. E quindi nasce il marketing professionale.

Non secondariamente, è venuto a mancare lo status sociale del professionista, la cui figura oggi come in ogni periodo di crisi è soggetto a feroce critica da parte dell’opinione pubblica, come del resto tutte le istituzioni. Le professioni sarebbero, come ha detto più di cent’anni fa un famoso drammaturgo, una cospirazione ai danni del pubblico.

In particolare, il professionista giuridico economico (avvocato, notaio, commercialista, consulente del lavoro) sarebbe una ulteriore tassa occulta che si sovrappone alla farraginosa burocrazia italiana. La figura del commercialista, in particolare, è ormai quotidianamente associata dai media all’evasione fiscale e all’inciucio in genere.

Non parliamo poi del pessimismo cosmico che viene trasmesso dal contesto sociale ed economico. Ogni volta che parliamo con qualcuno è un pianto e il pessimismo si diffonde come la gramigna.

È quindi fortissimo il rischio che la demotivazione dello studio parta proprio dalla testa, cioè da chi dovrebbe portare quotidianamente in ufficio il proprio entusiasmo e distribuirlo a pacchi ed essere, per dirla con David Maister, il primo critico ma anche la prima cheerleader dello studio.

Per riportare la motivazione in studio serve un lavoro di leadership da parte dei vertici di categoria per andare ad affrontare e risolvere i problemi di marketing del ceto professionale, comunicando molto meglio le nostre funzioni sociali più convincenti, e ce ne sono di notevoli, e proponendone al legislatore e prima ancora al mercato di nuove e più utili.

Ma serve anche un lavoro a livello di singolo studio volto a recuperare il costruttore di cattedrali che è nascosto dentro ciascuno di noi.

Come ben sanno i tifosi di calcio, spesso è l’allenatore a fare la differenza e non i giocatori.

I nostri dipendenti vedono quotidianamente calare i fatturati dello studio, aumentare la complessità e la responsabilità del lavoro, diminuire la soddisfazione dei clienti e del titolare dello studio. Se questo atterrisce noi, figuriamoci loro.

E allora dobbiamo far passare il messaggio che l’addetta alla reception non è una che risponde al telefono perché non sa fare di meglio dalla vita, ma è la persona che comunica tutto lo studio all’esterno e per questo deve essere preparata su tutto. L’impiegata contabile non è una passacarte che confeziona all’ultimo momento foglie di fico per evasori fiscali ma l’anello fondamentale per assicurare il giusto rapporto tra lo stato sociale e l’impresa. Il commercialista non è una tassa occulta né per i clienti né per lo stato ma è un volano fondamentale per l’attività economica del paese. E così via per le altre professioni. Non è solo una acrobazia semantica per cui il netturbino è diventato operatore ecologico o la ginnastica è diventata scienze motorie. È proprio un guardare alla funzione in modo più ampio e accurato.

Nel deserto che ci circonda, cominciamo a rimettere mano alla nostra cattedrale.