15 Luglio 2014

Ilva di Taranto, ambiente e sostenibilità: sappiamo davvero di cosa si parla? Alla ricerca di indici di eco-efficienza

di Massimo Conigliaro
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L’Ilva di Taranto: tanti ne parlano, ma non tutti sanno da dove nascono vincoli di legge e criticità ambientali. Le notizie di attualità sottolineano i grandi problemi che affliggono l’ambiente, gli abitanti della città pugliese e la stessa sopravvivenza di una delle più grandi acciaierie d’Europa che dà lavoro a 30 mila persone. Tutto è collegato all’applicazione della legislazione in tema di limitazione delle emissioni inquinanti dei grandi impianti industriali.

L’importanza della problematica, che riverbera un notevole impatto economico, è di immediata evidenza in tema di rilascio dell’Autorizzazione Integrata Ambientale. L’AIA (questo l’acronimo) é il provvedimento che autorizza l’esercizio di un impianto o di parte di esso a determinate condizioni, che devono garantire la conformità ai requisiti del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, di recepimento della direttiva comunitaria 96/61/CE, relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento (IPPC).

L’acronimo IPPC sta per Integrated Pollution Prevention and Control (in italiano, Prevenzione e Riduzione Integrate dell´Inquinamento). E’ la procedura per il rilascio dell´autorizzazione all’esercizio degli impianti industriali nell’Unione Europea, stabilita dalla cosiddetta “Direttiva IPPC” del 1996. Determinati impianti industriali (elencati nell´apposito Allegato I) devono ottenere un´autorizzazione dalla “Autorità competente”, senza la quale essi non possono funzionare. Le autorizzazioni devono essere basate sul concetto delle migliori tecniche disponibili (Best Available Techniques, BAT), così come sono definite nell´articolo 2 della direttiva, tenendo conto delle condizioni locali, ambientali e territoriali, in cui l’impianto opera.

L’idea alla base dell’IPPC è che attraverso un’analisi integrata è generalmente possibile, per ciascun caso specifico, individuare un insieme di soluzioni tecniche (impiantistiche, gestionali e di controllo), percorribili economicamente, che conducano alla eliminazione a monte, alla riduzione generalizzata, al migliore bilanciamento degli impatti sulle diverse matrici ambientali o per lo meno alla gestione consapevole di ogni inquinamento prodotto da una attività.

In genere (cfr. allegato I alla direttiva 96/61/CE), per rendere oggettivo il riscontro, tali soglie fanno riferimento alla potenzialità dell’impianto, dettata da limiti tecnologici (capacità produttiva dedotta dalle caratteristiche “di targa” delle apparecchiature), e non alla effettiva produzione o all’inquinamento realmente prodotto, che può essere sensibilmente minore di quello potenziale per scelte di gestione dell’impianto dettate, ad esempio, da dinamiche di mercato.

La direttiva 96/61/CE prevede l’applicazione del principio IPPC attraverso lo svolgimento di cinque differenti processi principali.

  1. Lo scambio di informazioni, attraverso il quale la Commissione europea rileva lo stato di attuazione della direttiva e sviluppa strumenti utili alla sua corretta applicazione.
  2. Il rilascio, il rinnovo, l’aggiornamento, il riesame di autorizzazioni che garantiscono la reale applicazione del principio IPPC agli impianti.
  3. L’informazione e l’accesso al pubblico relativamente al processo di rilascio delle autorizzazioni.
  4. L’attuazione e il controllo delle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni.
  5. La verifica dell’efficacia della direttiva nel ridurre l’inquinamento, attraverso l’istituzione e l’aggiornamento dell’inventario europeo delle principali fonti di emissioni inquinanti.

Le M.T.D. migliori tecniche disponibili (in inglese BAT – Best Avalaible Tecniques)

Riguardo al primo processo, la direzione generale ambiente della Commissione Europea ha individuato un nodo cruciale per l’applicazione del principio IPPC nella determinazione dell’insieme di tecniche (gestionali e impiantistiche) da adottare in ciascuno specifico caso. Tale insieme di tecniche è indicato in sede comunitaria con l’acronimo BAT (best avalaible tecniques: migliori tecniche disponibili) ed è individuato svolgendo:

  1. approfondite analisi degli ultimi
    sviluppi tecnologici, dei sistemi di gestione più adatti al tipo di attività, degli
    aspetti economici e di mercato dei particolari prodotti, della disponibilità delle tecnologie; analisi comuni per ciascun settore industriale e sviluppate a tale livello da organi comunitari o nazionali al fine di scongiurare diverse interpretazioni che condurrebbero a distorsioni di mercato;
  2. approfondite analisi del
    contesto territoriale, delle relative criticità, di particolarità locali e verifiche di fattibilità su progetto esecutivo; analisi e verifiche che possono essere svolte solo a livello di singola attività in base alle condizioni specifiche dell’impianto e dell’ambiente in cui si trova. Per questo motivo
    le BAT sono in generale diverse per ciascun impianto e si discostano concettualmente dalle tecniche standard, che sono solamente da prescrivere.

In tale contesto, si inserisce l’art. 2, comma 1, lett. o) del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, che consente ai gestori dei grandi impianti industriali (raffinerie, centrali elettriche, impianti chimici, ecc.) che richiedono l’Autorizzazione Integrata Ambientale, di derogare alle Migliori Tecniche Disponibili qualora le stesse non siano applicabili in condizioni economicamente ragionevoli.

In particolare, recita la norma, si intendono disponibili le tecniche sviluppate su una scala che ne consenta l’applicazione in condizioni economicamente e tecnicamente valide nell’ambito del pertinente comparto industriale, prendendo in considerazione i costi ed i vantaggi, indipendentemente dal fatto che siano applicate in ambito nazionale, purché il gestore possa accedervi a condizioni ragionevoli.

E’ facile comprendere quanto discrezionale ed aleatoria possa risultare l’applicazione di tale disposizione in assenza di una codifica uniforme delle modalità di calcolo di costi e vantaggi in materia ambientale.

Oggi non esiste ancora una metodologia unica di predisposizione del bilancio ambientale. Sono state realizzate diverse sperimentazioni a livello europeo e a livello nazionale, ma si avverte sempre più l’esigenza di un percorso di studio ed approfondimento che possa portare a delle linee guida condivise in tema di redazione e asseverazione di informative ambientali, di bilancio nonché di certificazione degli investimenti. Sarebbe il primo passo per definire quegli indici di eco-efficienza utili a fornire una risposta affidabile alle richieste di deroga alle migliori tecniche disponibili, troppo spesso non adeguatamente supportate dal punto di vista della fattibilità economico-finanziaria.