Le bollicine dei Cimbri
di Chicco Rossi
Oggi andremo nella terra dei Cimbri, alla scoperta di luoghi preistorici, antiche abbazie, assaporando il profumo dell’autunno, degustando piatti semplici ma schietti e genuini (in barba alla tanto decantata nouvelle cousine, ma non è il grande Cracco che ha affermato che in un frigorifero non devono mai mancare formaggio e salame?) sorseggiando bollicine nostrane.
Ma prima di tutto, chi erano questi Cimbri?
I Cimbri erano una tribù germanica o celtica, che verso la fine del II secolo a.C. decise di invadere l’impero romano assieme ai Teutoni e agli Ambroni; in seguito, dalla Baviera o dal Tirolo, i Cimbri scesero alla ricerca di climi più miti e si stanziarono, intorno al 1287, su concessione del vescovo di Verona Bartolomeo della Scala, sui Monti Lessini veronesi, terra di sportivi (basti pensare ai campioni olimpici Paola Pezzo e Bubu Valbusa, a Damiano Cunego ed a Damiano Tommasi).
Il nostro itinerario inizia la mattina presto dal Ponte di Veja, il ponte naturale più lungo di Europa con la sua arcata di circa 40 metri: la tradizione popolare tramanda che è da questo ponte che Dante Alighieri, esiliato a Verona e ospite di Cangrande della Scala, si ispirò per le “Malebolge”: “Luogo è in inferno detto Malebolge, tutto di pietra di color ferrigno, come la cerchia che dintorno il volge.”, tant’è vero che il monumentale castagno che si erge nelle immediate vicinanze tuttora è detto il “Castagno di Dante”.
Proseguiamo il nostro tragitto verso Badia Calavena, paese situato nella Val d’Illasi dove, sorseggiamo un buon caffè, incantati dalle rappresentazioni sacre che si trovano dipinte sui muri delle case: con simili ispirazioni, la nostra prima meta non può che essere l’abbazia benedettina, dove è possibile ritrovare la serenità e la pace che furono ispirazione per il famoso “ora et labora” che, purtroppo, troppo spesso viene dimenticato.
Uscendo dal paese e passando per la contrada di Sant’Andrea ci imbattiamo in una stranissima scultura, o per meglio dire monumento: una lumaca? No, un bogone: infatti, qui, ogni anno, il 30 novembre (se cade di domenica o la successiva in caso contrario) si svolge la “fiera dei Bogoni” nel medesimo luogo e con le stesse modalità di una volta. E allora, per gli amanti delle lumache (i francesi come al solito si vendono meglio: escargot) sotto con un buon antipastino di polenta e bogoni annaffiato da un generoso calice di Monti Lessini Durello spumante: è un spumante metodo classico dal colore giallo paglierino con perlage fine e deciso, il profumo è fragrante di fiori bianchi e pane tostato con sentori di miele; piacevolmente persistente.
Pronti e via, perché il tempo è tiranno e il percorso che dobbiamo fare è, sembrerà strano, un cerchio quasi perfetto, tutto perché la nostra destinazione intermedia è Vestenanova o più precisamente Bolca.
Stiamo passando dalla Val d’Illasi all’alta Val d’Alpone. La zona di Bolca, il cui nome deriva dal latino “bubulca” nel tredicesimo secolo fu conquistata da Mastino I° della Scala, che sconfisse Ludovico da San Bonifacio nell’ambito delle guerre tra Guelfi e Ghibellini (1269-1270) e quindi annessa ai territori del comune di Verona, per diventare comune autonomo nel 1326 a seguito di un editto di Cangrande della Scala.
Come anticipato, questo “signore” era grande amico di Dante Alighieri, amicizia sorta quando nel 1304, a seguito dell’esilio forzato da Firenze, il padre linguistico di tutti noi da Firenze trovò accoglienza presso il padre di Cangrande, Bartolomeo della Scala, ma questa è un’altra storia che primo o poi racconteremo perché ha a che fare con il nettare divino.
Bolca è conosciuta in tutto il mondo per i fossili (piante e pesci) dell’Era Terziaria (Eocene Medio, circa 50 milioni di anni) riportati alla luce in diverse località. Nell’ultimo mezzo millennio, questi esemplari hanno arricchito i musei di scienze naturali di città quali Parigi, Londra, Vienna, Monaco di Baviera, Budapest, Edimburgo, Dublino, Zurigo, New York, Washington, nonché collezioni private.
Dopo una veloce visita al museo, riprendiamo il cammino con destinazione finale il caseificio “La Casara” a Roncà.
Per chi fosse allergico ai latticini consigliamo di deviare verso Tregnago e fermarsi in un paesino, Cogollo. Il paese è un antico borgo che sorgeva ai piedi di un castello di cui ormai non vi è quasi più traccia, ma la sosta serve per fare un po’ di shopping: infatti, Cogollo è la patria del ferro battuto (vi è anche un museo tematico).
Ma noi gourmet allergici al colesterolo, andiamo a fare un’esperienza unica in questo caseificio quasi centenario che è sinonimo (ma non solo) di Monte veronese, tipico formaggio dei Monti Lessini, presente nelle varie stagionature, a pasta semicotta, prodotto esclusivamente con latte vaccino crudo, salato a secco o in salamoia e presidio Slow food. Tuttavia, Casara vuol dire anche formaggi di capra, sicuramente più light ma non per questo meno saporiti (i preferiti di Chicco Rossi).
A dire il vero, prima di assaggiare questi sublimi formaggi, sorseggiando un interessante Monti Lessini Durello passito, vino dal colore giallo dorato scuro, con riflessi ambrati, all’olfatto ampio e aperto, intenso e fruttato, con note di pesca sciroppata, miele e noce di cocco, non siamo riusciti a resistere a una bella fetta di polenta “brustolà”, come dicono qui, accompagnata dalla sopressa a Brenton il cui nome deriva dai maiali utilizzati, autoctoni e “pesanti” (almeno 200 chili).
E a questo punto, esausti ma pieni di ricordi, non resta che prendere la via del ritorno a meno che qualche cuor di leone non voglia chiudere la giornata assaporando un piatto di tagliolini fatti in casa con il tartufo nero o un sempre spettacolare piatto di gnocchi di malga (per i sostenitori delle tradizioni “gnochi sbatui”).
A voi la scelta…