15 Luglio 2016

Prelazione agraria estesa agli Iap – parte prima

di Luigi Scappini
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Dopo quasi 1000 giorni di gestazione, è finalmente arrivato il via libera al cd. collegato agricoltura con cui il Governo interviene in un settore che è un traino e un caposaldo di quel made in Italy tanto famoso e pubblicizzato nel mondo.

In questo contesto uno dei primi interventi concerne l’estensione della prelazione agraria all’imprenditore agricolo professionale iscritto alla previdenza agricola, a condizione però, che sul fondo oggetto di vendita non vi siano insediati mezzadri, coloni, affittuari, compartecipanti, enfiteuti coltivatori diretti.

Con questa apertura si assiste a un ulteriore avvicinamento tra le due figure “principe” del mondo agricolo, il coltivatore diretto e l’imprenditore agricolo professionale, quest’ultima una figura più moderna introdotta con l’articolo 1, D.Lgs. 99/2004, il decreto, ricordiamo, con cui è stata prevista anche la società agricola.

Si ricorda come il coltivatore diretto non trovi una propria definizione univoca da un punto di vista civilistico, con la conseguenza che, per cercare di definirlo nella maniera il più possibile completa, si rende necessario interpretare e unire gli elementi precipui che si rinvengono nelle varie norme che richiamano tale figura professionale.

L’articolo 2083, cod. civ. lo equipara al piccolo imprenditore, ragione per cui è definibile come il soggetto che esercita l’attività di coltivazione del fondo, professionalmente e in maniera organizzata, prevalentemente con il lavoro proprio e della propria famiglia.

Più circoscritto l’articolo 6, L. 203/1982, legge con cui si ricorda sono state riscritte le regole dei contratti agrari, che, riprendendo comunque il dato dell’articolo 2083, cod. civ., richiede che il lavoro prestato (dal coltivatore diretto e dalla sua famiglia) rappresenti almeno 1/3 di quello necessario per le normali necessità.

Oltre a queste due norme, ve ne sono altre, quali ad esempio, l’articolo 2, L. 1047/1956, l’articolo 3, L. 590/1965 e l’articolo 2, L. 9/1966, che consentono, in simbiosi con le precedenti, di poter definire il coltivatore diretto come colui che esercita un’attività agricola ai sensi dell’articolo 2135 cod. civ., direttamente e abitualmente, utilizzando il lavoro proprio o della sua famiglia, e la cui forza lavorativa non sia inferiore a un terzo di quella complessiva richiesta dalla normale conduzione del fondo.

Alla figura professionale del coltivatore diretto, si affianca quella più moderna dello Iap, l’imprenditore agricolo professionale di derivazione comunitaria, che è andato a sostituire il precedente Iatp (imprenditore agricolo a titolo principale).

Lo Iap è colui che, in possesso delle competenze e conoscenze professionali, dedica alle attività agricole, come definite dall’articolo 2135, cod. civ., direttamente o in qualità di società, almeno il 50% del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricava dalle attività medesime almeno il 50% del reddito globale da lavoro.

Tali percentuali sono ridotte al 25% nel caso in cui l’imprenditore operi nelle zone svantaggiate individuate dall’articolo 17, Regolamento (CE) n.1257/1999.

Questa è la regola di base, poi, nella realtà operativa, si dovrà andare a verificare la disciplina specifica dettata dalle singole Regioni.

Per quanto concerne le conoscenze e competenze necessarie, in linea di massima, si ritengono sufficienti le lauree in agraria o veterinaria, nonché l’aver conseguito il diploma dell’istituto tecnico agrario o, in caso contrario, l’aver lavorato presso “aziende agricole” per un tempo come individuato dalle singole regionali.

Ai fini della determinazione della percentuale di incidenza del reddito agricolo prodotto, nel computo del reddito globale non si considerano le pensioni di ogni genere, gli assegni a esse equiparati, le indennità e le somme percepite per l’espletamento di cariche pubbliche, ovvero in associazioni e altri enti operanti nel settore agricolo.

I singoli regolamenti regionali individuano, in ragione dei terreni condotti a titolo di proprietà, affitto o quant’altro, le ore lavoro che devono essere dedicate per poter coltivare detti fondi e quindi, in tal modo, si determina la prevalenza del tempo impiegato.

La qualifica di Iap, oltre che dalle persone fisiche, può essere acquisita anche dalle società agricole ex D.Lgs. 99/2004, infatti, l’articolo 1, al comma 3 prevede che possono diventare tali società di persone, di capitale e cooperative.

In particolare, si ricorda come, per le società di persone almeno un socio deve essere in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale (per le società in accomandita la qualifica deve essere riconducibile ai soli soci accomandatari), per quelle di capitali e le cooperative almeno un amministratore, che sia anche socio per le società cooperative, deve essere un imprenditore agricolo professionale.

In ragione di quanto detto, una norma, che era prerogativa di un mondo rurale concepito e sviluppatosi in forma ridotta, viene a poter essere applicata anche a soggetti che possono avere consistenti disponibilità economiche, sulla falsariga di quanto avveniva già per l’agevolazione in sede di acquisto dei terreni (ppc), il tutto, si evidenzia, limitandosi ad avere nella propria compagine sociale un soggetto Iap che “dona” la qualifica.