Soggettività IVA degli utenti delle piattaforme di economia condivisa
di Marco PeiroloPaolo CentoreIn un precedente intervento abbiamo esaminato la qualifica del servizio reso agli utenti delle piattaforme di “sharing economy” e il relativo regime IVA.
In questa sede analizziamo, invece, il profilo dell’economicità dell’attività al fine di stabilire quando i soggetti – di norma “privati consumatori” – che si avvalgono delle piattaforme digitali per vendere beni e servizi diventino operatori tenuti ad adempiere agli obblighi IVA.
Il problema si pone, in quanto la nozione di soggetto passivo, così come definita dalla normativa unionale, è molto ampia. Come previsto, infatti, dall’art. 9, par. 1, comma 1, della Direttiva n. 2006/112/CE, per soggetto passivo s’intende “chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività”.
Al fine, quindi, di stabilire se colui che fornisce beni e servizi attraverso una piattaforma di economia condivisa si qualifichi come soggetto passivo è necessario verificare, in primo luogo, se svolge un’attività economica e, in secondo luogo, se tale attività sia svolta in modo indipendente.
Con specifico riguardo al primo profilo, relativo all’economicità dell’attività, l’art. 9, par. 1, comma 2, della Direttiva chiarisce che esso caratterizza “ogni attività di produzione, di commercializzazione o di prestazione di servizi, comprese le attività estrattive, agricole, nonché quelle di professione libera o assimilate” e che “si considera, in particolare, attività economica lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità”. In questo contesto, lo “sfruttamento” si riferisce, in conformità al principio che il sistema comune dell’IVA deve essere neutrale, a tutte quelle operazioni, qualunque sia la loro forma legale, dirette ad ottenere un reddito su base continuativa (causa C-8/03, BBL; causa C-77/01, EDM; causa C-306/94, Régie dauphinoise; causa C-186/89, Van Tiem).
Secondo il consolidato orientamento della Corte di giustizia, la nozione di “attività economica” è molto ampia e ha carattere oggettivo nel senso che l’attività è considerata, di per sé, a prescindere dai suoi scopi o risultati (causa C-263/11, Ainārs Rēdlihs; causa C-219/12, Finanzamt Freistadt Rohrbach Urfahr; cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03, Optigen e a.; causa C-230/94, Enkler; causa C-235/85, Commissione/Paesi Bassi). In particolare, nella sentenza Ainārs Rēdlihs, la Corte ha affermato che “il fatto che un bene si presti ad uno sfruttamento esclusivamente economico è di regola sufficiente per far ammettere che il proprietario lo utilizza per esercitare attività economiche e quindi per realizzare introiti aventi carattere di stabilità. Per contro, se un bene può, per sua natura, essere utilizzato sia a fini economici sia privati, sarà necessario analizzare il complesso delle circostanze nelle quali il bene viene sfruttato, al fine di determinare se l’utilizzo sia volto a realizzare introiti aventi effettivamente carattere di stabilità”.
Per quanto riguarda i beni e servizi forniti da privati attraverso le piattaforme di economia condivisa, il Comitato IVA, nel Working Paper n. 878 del 22 settembre 2015, ha ritenuto che l’appartamento da affittare o l’automezzo utilizzato per offrire un passaggio sono beni che, per loro natura, possono essere destinati a scopi sia economici che privati. Ferma restando la molteplicità di forme che le forniture di beni e servizi per mezzo delle piattaforme digitali possono assumere, il Comitato IVA è dell’avviso che il rapporto che unisce il fornitore alla piattaforma di economia condivisa, attraverso la quale vengono forniti beni e servizi in cambio di un corrispettivo, implica una certa continuità, per cui le attività in questione soddisfano i requisiti richiesti dall’art. 9, par. 1, della Direttiva per essere qualificate come “attività economiche”.
Al profilo esaminato si ricollega quello dell’occasionalità dell’attività, in merito al quale la Corte di giustizia ha affermato che, anche se i beni e servizi sono forniti a titolo occasionale, non può di per sé escludersi che tali operazioni siano estranee dal campo di applicazione dell’IVA, così come, del resto, le operazioni rientranti nel campo di applicazione dell’imposta non sono automaticamente attratte a tassazione (causa C-62/12, Kostov e cause riunite C-180/10 e C-181/10, Słaby e a.).
Dalla sentenza Słaby e a., confermata dalla sentenza Ainārs Rēdlihs, si ricava il principio secondo cui il mero esercizio del diritto di proprietà da parte del suo titolare, anche sotto forma di gestione del bene, non costituisce attività economica. Tuttavia, quando la persona in questione intraprende “iniziative attive di commercializzazione”, utilizzando risorse simili a quelle impiegate da un operatore economico, deve essere considerata come un soggetto passivo ai sensi dell’art. 9, par. 1, comma 2, della Direttiva.
In questo contesto, conclude il Comitato IVA, può sostenersi che l’individuo che utilizza la piattaforma di economia condivisa al fine di offrire i propri beni e servizi agisce in modo molto simile ad un operatore economico, sicché la sua attività assume rilevanza ai fini impositivi indipendentemente dalla circostanza che sia svolta con carattere occasionale o abituale e questo anche per evitare fenomeni di distorsione della concorrenza che, danneggiando gli operatori “tradizionali”, violerebbero il principio della parità di trattamento e, quindi, quello della neutralità dell’IVA.
Nel rinviare l’esame dell’onerosità dell’attività ad un successivo intervento, occorre ricordare che la natura economica dell’attività prescinde dai risultati (art. 9, par. 1, comma 1, della Direttiva), per cui le operazioni effettuate attraverso le piattaforme di economia collaborativa, anche laddove generino corrispettivi di modesto importo nel loro complesso, non sono idonee, per ciò solo, ad escludere la soggettività d’imposta in capo agli utenti. Sono, però, in corso di definizione alcune misure a livello unionale volte ad introdurre una soglia monetaria valida per tutti gli Stati membri al di sotto della quale l’attività svolta per mezzo delle piattaforme digitali non è rilevante ai fini IVA; in questo modo, si colmerebbe la lacuna dell’attuale DDL sulla new economy, che prevede una “no tax area” soltanto ai fini reddituali.