Stabilità degli introiti e soggettività IVA nella sharing economy
di Marco PeiroloPaolo CentoreNel precedente intervento sul profilo soggettivo degli utenti delle piattaforme di “sharing economy” abbiamo evidenziato che, secondo la posizione espressa dal Comitato IVA nel Working Paper n. 878 del 22 settembre 2015, il rapporto che unisce il fornitore alla piattaforma di economia condivisa implica una certa continuità, per cui le operazioni di vendita di beni e servizi soddisfano i requisiti richiesti dall’art. 9, par. 1, della Direttiva n. 2006/112/CE per essere qualificate come “attività economiche” anche se effettuate in via del tutto occasionale.
Tale conclusione, che trae fondamento dalle indicazioni rese dalla Corte di giustizia, prescinde dallo scopo e dai risultati dell’attività, per cui le operazioni effettuate attraverso le piattaforme di economia collaborativa, anche se generano corrispettivi di modesto importo nel loro complesso, non sono idonee, per ciò solo, ad escludere la soggettività passiva IVA in capo agli utenti.
La giurisprudenza unionale conferma, infatti, che il carattere economico dell’attività e, quindi, la qualifica di soggetto IVA non è influenzato dall’esiguità dei corrispettivi percepiti.
Per esempio, nella sentenza Schmelz (causa C-97/09 del 26 ottobre 2010) è stato esaminato il caso di un “privato” tedesco che, in quanto proprietario di un appartamento ubicato in Austria, concesso in locazione ad un canone mensile di 330 euro, è stato ritenuto soggetto passivo IVA pur avendo realizzato, per effetto di tale attività, un imponibile di 5.890,90 euro per l’anno 2006 e di 5.936,37 euro per l’anno 2007. Dai fatti di causa si evince che il locatore si è difeso contro la pretesa dell’Autorità fiscale austriaca sostenendo l’applicazione del regime di franchigia per le piccole imprese in considerazione dell’esiguità dei canoni percepiti, ma la conclusione della Corte risulta sfavorevole al contribuente in quanto il regime di esonero si applica ai soli soggetti residenti.
La controversia è stata risolta con un approccio volto a stabilire la rilevanza ai fini IVA dell’operazione sotto il profilo esclusivamente oggettivo e, d’altra parte, in conformità all’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), il giudice decide sulle questioni sollevate dalle parti; sicché, è lecito domandarsi se l’esito della pronuncia avrebbe potuto essere diverso qualora la tesi difensiva fosse stata incentrata sul profilo soggettivo, in modo che la questione sottoposta al vaglio della Corte fosse diretta a stabilire se la locazione di un immobile determini, di per sé, la soggettività passiva del proprietario.
Sul punto, può richiamarsi l’ordinanza Balogh (causa C-424/14 del 30 settembre 2015), con la quale è stato però evidenziato che il regime di esonero per le piccole imprese è volto a semplificare gli adempimenti degli operatori economici con un volume d’affari ridotto, ma non ad escludere la sussistenza della soggettività d’imposta in assenza di altri dati di fatto; tant’è che, nella fattispecie esaminata, la Corte ha confermato la legittimità della contestazione sollevata dall’Autorità fiscale ungherese riguardante la vendita on line di indumenti per bambini per un volume d’affari di 1.612,50 euro.
Nella sentenza Ainārs Rēdlihs (causa C-263/11 del 19 luglio 2012), la vendita di legname effettuata negli anni 2005 e 2006 da un “privato” che ha acquistato il bosco per fini non di lucro è stata considerata soggetta a IVA sebbene occasionale, in quanto posta in essere per rimediare ai danni causati da una tempesta. L’importo ricavato, pari a circa 80.000 euro, è ragguardevole, ma pur sempre derivante da un evento fortuito, che la Corte non ha ritenuto rilevante siccome l’interessato ha intrapreso “iniziative di gestione forestale mobilitando mezzi analoghi a quelli dispiegati per un’attività di produzione, commercializzazione o prestazione di servizi ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva sull’IVA (…)”.
Infine, la sentenza Fuchs (causa C-291/12 del 20 giugno 2013) si riferisce ad un soggetto che, negli anni 2005-2008, ha venduto all’ente gestore l’energia elettrica prodotta dal proprio impianto fotovoltaico per un importo complessivo di 2.019,24 euro. Nonostante l’esiguità dei corrispettivi percepiti, la produzione di energia elettrica immessa in rete a fronte di una remunerazione configura l’esercizio di un’attività economica, in quanto l’impianto fotovoltaico è utilizzato per ricavare introiti aventi carattere di stabilità (nella specie, il contratto di accesso alla rete è stato concluso a tempo indeterminato).
La Corte ha recepito le conclusioni presentate dall’Avvocato generale UE il 7 marzo 2013, per il quale “l’obiettivo del sig. Fuchs è, almeno in parte, ricavare introiti dalla fornitura di energia elettrica. Anche qualora il risultato concreto sia una mera riduzione della sua bolletta dell’elettricità, tale riduzione deriva dalla compensazione tra un introito ad esso dovuto da parte del gestore della rete e i pagamenti da esso dovuti al gestore, ed è tale introito che il sig. Fuchs intende ricavare, stabilmente, dalle sue forniture. A mio avviso, nella fattispecie non è rilevante il fatto che, per il modo in cui è strutturato, l’impianto fotovoltaico copra una parte del fabbisogno dell’abitazione senza generare un’eccedenza sistematica, sempre disponibile per la vendita a prescindere dal consumo dell’abitazione. La questione se un’attività sia diretta a realizzare introiti aventi carattere di stabilità è una questione di fatto, che dev’essere valutata tenendo conto di tutti gli elementi della fattispecie, tra i quali figura, in particolare, la natura del bene considerato. Nel caso di specie, il sig. Fuchs utilizza il suo impianto fotovoltaico per fornire tutta o parte (a seconda del corretto contesto di fatto) dell’energia elettrica prodotta dal gestore della rete ed egli ha concluso un accordo con detto gestore, ai termini del quale la fornitura viene effettuata a fronte di un corrispettivo. Questa è, oggettivamente, un’attività economica”.
Le interpretazioni fornite dalla Corte di giustizia mettono in luce che, contrariamente a quanto indicato dalla Fondazione Nazionale dei Commercialisti nel documento del 15 giugno 2016 sulla fiscalità delle locazioni turistiche, l’attività svolta attraverso una piattaforma di economia condivisa, anche se occasionale e a fronte di corrispettivi di modesto importo, non esclude la soggettività passiva dell’utente. Sotto questo profilo, gli elementi di fatto che, secondo la Corte, possono essere presi in considerazione per escludere l’economicità ai fini della qualifica soggettiva – quali, la durata effettiva della prestazione, l’entità della clientela e l’importo dei corrispettivi (causa C-230/94 del 26 settembre 1996, Enkler e causa C-263/11, cit.) – non sembrano dirimenti, come può evincersi dalla rassegna degli arresti giurisprudenziali in precedenza illustrati.
Sarebbe, pertanto, opportuno che la proposta di legge sulla “sharing economy” estendesse l’ambito applicativo della “no tax area” anche agli effetti dell’IVA, fermo restando che è probabile che la Commissione europea, nell’ambito del “VAT Action Plan”, proponga l’adozione di una soglia monetaria di 3-5.000 euro, valida per tutti gli Stati membri, al di sotto della quale l’attività svolta per mezzo delle piattaforme digitali non è rilevante ai fini IVA.
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