Necessario un atto definitivo e motivato per vincolare il liquidatore
di Roberto BianchiLa cancellazione di una società quale conseguenza del suo trasferimento all’estero non è rilevante ai fini dell’applicazione dell’articolo 36 del DPR 602/1973.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16446 depositata il 5 agosto 2016, ha voluto rappresentare uno scenario correlato alla responsabilità di soci, liquidatori e amministratori di società soggette all’IRES, relativamente all’articolo 36 del DPR 602/1973.
Il menzionato onere è risultato implicitamente potenziato dal 4° comma dell’articolo 28 del D.Lgs. 175/2014, che ha statuito la facoltà di notificare gli atti impo-esattivi, di liquidazione e di riscossione nei confronti dei soggetti giuridici cessati, nel quinquennio successivo alla cancellazione della società dal Registro delle imprese, a condizione che tale procedura risulti disposta con decorrenza successiva al 13 dicembre 2014 e finalizzata ad attivare l’articolo 36 del DPR 602/73.
È opportuno evidenziare come la responsabilità oggetto di valutazione da parte dei giudici di legittimità ha, come postulato, una procedura liquidatoria e, pertanto, non è consentito menzionarla nella circostanza in cui, la cancellazione della società dal Registro delle imprese, sia attribuibile esclusivamente al trasferimento della sede della società al di fuori dei confini nazionali, con particolare riguardo alla contingenza per la quale si era in presenza di una sostanziale prosecuzione dell’attività aziendale, seppur in un’altra nazione.
L’articolo 36 del DPR 602/1973 sancisce una responsabilità da parte dei liquidatori e dei soci relativamente all’imposta sul reddito delle persone giuridiche; sussistevano tuttavia dei dubbi in merito alla circostanza che questa norma trovasse ancora applicazione dopo le modifiche apportate all’articolo 2495 cod. civ. per effetto della riforma del diritto societario; riteniamo oggi di poter affermare che il risultato raggiunto a livello giurisprudenziale sia che questa norma è compatibile con l’articolo 2495 cod. civ. in quanto la disposizione al terzo comma afferma “… salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile”. Tuttavia questa disciplina – che era riferita esclusivamente al tributo IRES e non alle sanzioni – sino all’entrata in vigore del decreto delegato per la semplificazione fiscale, sanciva la responsabilità IRES da parte dei liquidatori per l’imposta dovuta per il periodo di liquidazione e per i precedenti, qualora avessero proceduto ad assegnare beni o denari ai soci senza soddisfare preventivamente i crediti tributari o crediti di ordine inferiore a quelli tributari.
Ma attenzione: l’articolo 36 del D.P.R. 602/1973 previgente asseriva che “La responsabilità di cui ai commi precedenti è accertata dall’Ufficio delle imposte con atto motivato da notificare ai sensi dell’articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”. L’Ufficio pertanto, per individuare questa responsabilità, così come per operare nei limiti dell’articolo 2495 cod. civ., era chiamato a provare sia che il socio aveva ricevuto denaro o altri beni attraverso il piano di riparto, sia che si era manifestata una colpa del liquidatore ex articolo 2495 cod. civ. e sia che il liquidatore, responsabile per l’IRES, avesse posto in essere quei comportamenti evidenziati all’interno dell’articolo 36. Pertanto, la norma faceva esplicito riferimento a un atto motivato che comportava l’inevitabile conseguenza che l’Ufficio dovesse necessariamente provare l’esistenza di determinati presupposti.
Ebbene, attraverso un mutamento dell’articolo 36 del DPR 602/1973, il decreto delegato per la semplificazione fiscale ha modificato il regime della responsabilità di liquidatori e soci nei soggetti IRES.
La norma, in particolare, prevede che i liquidatori rispondono in proprio del pagamento delle imposte, salvo che non siano in grado di dimostrare di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di aver soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. Tale responsabilità – precisa la norma – è commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti.
Tale impostazione ha ribaltato, in pratica, il quadro precedente in base al quale incombeva sull’Amministrazione finanziaria l’onere di accertare i presupposti relativi alla responsabilità del liquidatore.
Inoltre, con le nuove disposizioni, è venuta meno la limitazione all’applicazione dell’articolo 36 DPR 602/1973 alle sole imposte sul reddito, con conseguente estensione della responsabilità a tutti i tributi (in primis IVA e IRAP) e alle ulteriori somme iscrivibili a ruolo o riscuotibili attraverso un accertamento impo-esattivo in base alle disposizioni del DPR 602/1973.
La disciplina pertanto rimane sostanzialmente la medesima (benchè non sia più legata esclusivamente all’IRES ma bensì a tutti i tributi), sebbene la disposizione affermi che il liquidatore è responsabile se non è in grado di provare (in precedenza era l’Amministrazione finanziaria a doverlo fare) di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione dei beni ai soci o agli associati ovvero di aver soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari.
Non va, pertanto, sottaciuto che il credito vantato dall’Agenzia delle entrate, per effetto dell’articolo 36 del DPR 602/1973, nei riguardi dei soci e dei liquidatori, non è un credito tributario (sebbene trovino applicazione le regole del processo tributario) ma bensì civilistico, che dispone di un titolo autonomo rispetto all’obbligazione fiscale (Cassazione sentenza n. 7327/2012). È necessario, pertanto, che il credito sia divenuto definitivo nei confronti della società, affinché possa operare la nuova inversione dell’onere della prova.
In buona sostanza è indispensabile che l’atto di accertamento risulti notificato alla società e che inoltre sia divenuto definitivo (in seguito alla mancata impugnazione, a una sentenza passata in giudicato, eccetera) nei confronti della società medesima. Esclusivamente a partire da quel momento potrà essere notificato un atto appositamente motivato ai soci e ai liquidatori, che contempli l’inversione dell’onere della prova a carico di quest’ultimi, così come disciplinato dal decreto semplificazioni.
Di conseguenza, la responsabilità del liquidatore nella circostanza esaminata dalla sentenza 16446/2016 della Suprema Corte, in un’ottica meramente tributaria, si ridurrebbe all’iscrizione del debito a ruolo per l’insana gestione della liquidazione e per il mancato pagamento dei debiti relativi a imposte sui redditi, applicabile peraltro alle sole imposte sui redditi e non all’imposizione sul valore aggiunto ai sensi dell’articolo 19 del D.Lgs. 46/1999, nella versione vigente sino al 13/12/2014, data di entrata in vigore del D.Lgs. 175/2014.
La sentenza in commento conferma, pertanto, come le modifiche introdotte dall’articolo 28, comma 7, del D.Lgs. 175/2014, non abbiano efficacia retroattiva.
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