Profili IVA dei modelli di crowdfunding con “ritorno finanziario”
di Marco PeiroloPaolo CentoreCome descritto in un precedente intervento, nei modelli operativi di crowdfunding con “ritorno finanziario”, l’investitore, a fronte del finanziamento erogato, riceve dividendi o royalties (crowd-investing), oppure interessi (crowd-lending).
Premesso che, nel modello “crowd-investing”, la remunerazione offerta sotto forma di partecipazione ai futuri guadagni del progetto finanziato può consistere in dividendi o in royalties, occorre osservare che, nel primo caso, l’emissione di azioni non è rilevante ai fini IVA. L’azione, in quanto titolo rappresentativo di un bene immateriale, non può essere oggetto di cessione a titolo oneroso considerando che quest’ultima si riferisce ai soli beni materiali (art. 14, par. 1, della Direttiva n. 2006/112/CE) e, inoltre, l’emissione di titoli azionari non integra neppure una prestazione di servizi a titolo oneroso siccome l’obiettivo della società emittente è acquisire capitali e non fornire servizi (Corte di giustizia, 26 marzo 2015, cause C‑108/14 e C‑109/14).
Dal punto di vista dell’investitore, la semplice assunzione di una partecipazione in un’altra società non costituisce lo “sfruttamento” di un bene al fine di trarne introiti aventi carattere stabile, in quanto l’eventuale dividendo discende dalla mera detenzione del titolo azionario e non costituisce il corrispettivo di un’attività economica, nell’accezione prevista dall’art. 9, par. 1, della Direttiva n. 2006/112/CE. Affinché risulti soddisfatto il presupposto soggettivo d’imposta, è necessario che alla detenzione della partecipazione si accompagni una specifica attività che influisca, direttamente o indirettamente, sulla gestione della società partecipata. In particolare, l’interferenza richiesta è quella che implica l’effettuazione di operazioni soggette a IVA, quali la prestazione di servizi amministrativi, finanziari, commerciali e tecnici (Corte di giustizia, 26 marzo 2015, cause C‑108/14 e C‑109/14, cit.).
In relazione al modello dell’equity-based crowdfunding, può pertanto ritenersi che, di regola, l’investitore non assume la qualifica di soggetto passivo, a meno che il finanziamento sia concesso da un investitore professionale. È quanto si verifica, per esempio, nell’ambito dei finanziamenti erogati a favore di start-up e PMI innovative, il cui capitale offerto deve essere sottoscritto per almeno il 5% da investitori professionali (es. soggetti tenuti ad essere autorizzati o regolamentati per operare nei mercati finanziari, incubatori di start-up, ecc.). In questo caso, la partecipazione è acquisita nell’ambito di un’attività commerciale, per cui assume rilevanza ai fini IVA al pari delle operazioni effettuate nello svolgimento di un’attività commerciale di compravendita di titoli (Corte di giustizia, 29 aprile 2004, causa C-77/01).
Riguardo al trattamento impositivo dei dividendi, gli stessi, anche se percepiti da un investitore professionale, sono sempre esclusi da IVA in quanto non costituiscono il corrispettivo di un’attività economica, peraltro nemmeno quando il possesso della partecipazione sia accompagnato ad una interferenza, diretta o indiretta, nella gestione della partecipata (Corte di giustizia, 14 novembre 2000, causa C-142/99). Per quanto riguarda, invece, la cessione delle partecipazioni, opera la distinzione precedentemente esposta in merito alla natura “statica” o “dinamica” del titolo azionario, nel senso che soltanto l’investitore professionale, agendo in un’ottica di trading, realizza un’operazione rilevante ai fini IVA, sia pure in regime di esenzione di cui all’art. 135, par. 1, lett. f), della Direttiva n. 2006/112/CE, corrispondente all’art. 10, comma 1, n. 4), del D.P.R. n. 633/1972.
Le conclusioni esposte valgono anche qualora all’investitore siano attribuiti titoli di debito (nella specie, obbligazioni della società finanziata). La Corte di giustizia ha, infatti, affermato che la mera detenzione di obbligazioni, non strumentali ad un’altra attività d’impresa, e la riscossione degli introiti che ne derivano, non danno luogo all’esercizio di un’attività economica, per cui non vi sono motivi per considerare, agli effetti dell’IVA, la detenzione di obbligazioni in modo diverso dalla detenzione di partecipazioni (causa C-80/95 del 6 febbraio 1997).
Nell’ipotesi in cui all’investitore sia riconosciuta una royalty per il finanziamento erogato, il Comitato IVA è dell’avviso che la cessione del diritto di utilizzare l’opera dell’ingegno dà luogo ad un’attività economica per effetto dell’art. 25, lett. a), della Direttiva n. 2006/112/CE, secondo cui è possibile qualificare come prestazione di servizi “la cessione di beni immateriali, siano o no rappresentati da un titolo” e, del resto, l’art. 59, lett. a), della stessa Direttiva considera tale, cioè come prestazione di servizi, le “cessioni e concessioni di diritti d’autore, brevetti, diritti di licenza, marchi di fabbrica e di commercio e altri diritti analoghi” (Working Paper n. 836 del 6 febbraio 2015). Lo stesso approccio sembra confermato dalla Corte di giustizia, secondo la quale “la cessione di una quota di comproprietà di un’invenzione, malgrado il fatto che quest’ultima non abbia dato luogo alla registrazione di un brevetto, può costituire, in linea di principio, un’attività economica assoggettata ad IVA” (causa C-504/10 del 27 ottobre 2011).
Passando ad esaminare il modello “crowd-lending”, in cui l’investitore concede un prestito in cambio del pagamento di interessi, è possibile ritenere che il prestito rientri nel campo di applicazione dell’IVA se viene concesso nell’ambito di un’attività economica consistente nello “sfruttamento” del capitale prestato per ricavarne introiti aventi carattere permanente sotto forma di interessi (Corte di giustizia, 14 novembre 2000, causa C-142/99, cit.).
Ne discende che, per gli investitori professionali, il credito concesso in prestito rientra nello svolgimento della propria attività ed è soggetto al regime di esenzione di cui all’art. 135, par. 1, lett. d), della Direttiva n. 2006/112/CE, corrispondente all’art. 10, comma 1, n. 1), del D.P.R. n. 633/1972. Nel caso più generale, in cui i risparmi siano investiti da “privati”, si resta invece al di fuori del campo di applicazione dell’IVA.
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