Proposta di legge sulla sharing economy senza regole IVA
di Marco PeiroloPaolo CentoreIl Direttore dell’Agenzia delle Entrate, nel corso dell’audizione del 26 luglio 2016 presso la Camera dei Deputati, ha fornito alcuni spunti di riflessione sulla proposta di legge AC 3564, presentata il 27 gennaio 2016, finalizzata a disciplinare le piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi e a promuovere l’economia della condivisione.
L’obiettivo della proposta di legge in materia di sharing economy, come dichiarato espressamente all’art. 1, consiste nel garantire equità e trasparenza, soprattutto in termini di regole e di fiscalità, tra i soggetti che operano in tale ambito e gli operatori economici tradizionali e, al contempo, nel tutelare i consumatori soprattutto per gli aspetti connessi alla sicurezza, alla salute, alla privacy e alla trasparenza delle condizioni contrattuali.
I profili fiscali della proposta sono contenuti nell’art. 5. Nel presupposto, come evidenziato dalla Commissione europea nella comunicazione n. 356 del 2 giugno 2016, che uno dei principali problemi derivanti dall’economia collaborativa riguardi l’adempimento degli obblighi fiscali e la loro applicazione, anche in forma semplificata, con la norma in questione, il legislatore nazionale intende risolvere tali criticità fornendo una specifica disciplina fiscale, rafforzando la tracciabilità dei redditi, introducendo appositi ed efficaci strumenti di contrasto al rischio di evasione che può caratterizzare l’ambito della economia della collaborazione.
Il punto centrale, secondo quanto osservato anche dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate, è che la proposta di legge non contempla espressamente l’imposizione indiretta, oggetto, invece, di approfondimento a livello unionale, considerando la diffusione dell’economia collaborativa e, dunque, dei relativi problemi di carattere fiscale in tale settore.
Nel Working Paper n. 878 del 22 settembre 2015, il Comitato IVA ha affermato che il rapporto che unisce il fornitore alla piattaforma di economia condivisa implica una certa continuità, per cui – di norma – le forniture di beni e servizi attraverso le piattaforme soddisfano i requisiti richiesti dall’art. 9, par. 1, della Direttiva n. 2006/112/CE per essere qualificate come “attività economica”. Al profilo esaminato si ricollega quello dell’occasionalità dell’attività, in merito al quale la Corte di giustizia ha affermato che, anche se i beni e servizi sono forniti a titolo occasionale, non può di per sé escludersi che tali operazioni siano estranee dal campo di applicazione dell’IVA, in quanto la persona che intraprende “iniziative attive di commercializzazione”, utilizzando risorse simili a quelle impiegate da un operatore economico, deve essere considerata come un soggetto passivo IVA (riunite C-180/10 e C-181/10, Słaby e a. e causa C-263/11, Ainārs Rēdlihs).
Fermo, quindi, restando che le forniture di beni e servizi effettuate dagli utenti privati attraverso le piattaforme della sharing economy sono, in linea di principio, transazioni soggette a IVA, nel corso dell’audizione è stato osservato che le problematiche relative ai presupposti di applicazione dell’imposta possono riguardare:
- la qualifica di soggetto passivo o non passivo degli utenti operatori;
- il carattere commerciale (cioè, economico, nel senso indicato dalla Direttiva IVA) dell’attività esercitata attraverso le piattaforme digitali;
- l’esistenza di un sinallagma tra le prestazioni e le controprestazioni in natura (es. nel caso di una condivisione di un bene o di uno scambio di servizi contro servizi).
Al riguardo, il Direttore dell’Agenzia delle Entrate è dell’avviso che le operazioni poste in essere con l’ausilio delle piattaforme della sharing economy possono configurare un’attività economica nella misura in cui sono svolte con carattere di stabilità e organizzate in forma d’impresa, ai sensi dell’art. 4 del D.P.R. n. 633/1972, per cui una persona che effettua solo occasionalmente un’operazione generalmente svolta da un produttore, da un commerciante o da un prestatore di servizi non può, in linea di principio, essere considerata un soggetto passivo IVA. A favore di questa conclusione depone il testo dell’art. 5 della proposta di legge, il quale limita la rilevanza reddituale dei compensi a quelli percepiti dagli utenti a fronte di attività di economia condivisa non professionali.
Il nodo è e rimane il limite della occasionalità: risulta, allora, evidente che, nel contesto dell’economia collaborativa, la distinzione tra prestazione a titolo professionale e prestazione a titolo occasionale non sia facilmente individuabile, specie se la regolamentazione varia da settore a settore e anche da regione a regione, come ad esempio nel settore alberghiero. Del resto, la stessa Direttiva n. 2006/112/CE ha previsto un campo di applicazione molto ampio dell’IVA e stabilito delle soglie di fatturato al solo fine di consentire l’applicazione di regimi facoltativi di franchigia per le piccole imprese, che non hanno effetto ai fini della distinzione fra servizio professionale e non professionale, oppure dell’esclusione dal campo di applicazione dell’IVA. Va da sé, pertanto, che la soglia di 10.000 euro prevista dalla proposta di legge non è di per sé rilevante ai fini della qualificazione degli utenti quali soggetti passivi IVA, né, probabilmente, compatibile con l’introduzione di una (più contenuta) soglia a livello unionale, valida in tutti gli Stati membri, cui i servizi della Commissione stanno pensando.
Nel corso dell’audizione, è stato infine sottolineato che, sul piano dei controlli, occorrerà tenere in considerazione le nuove attività di micro-impresa che si stanno sviluppando nel contesto dell’economia collaborativa, rispetto alle imprese tradizionali già esistenti che s’inseriscono nel nuovo mercato grazie alle tecnologie dell’informazione, eventualmente diversificando l’offerta di servizi. Per i nuovi imprenditori dell’economia collaborativa si potrebbero ipotizzare, così come già previsto per i prestatori di servizi elettronici, nuove modalità di gestione del rapporto con l’Erario e sistemi semplificati di riscossione affinché siano evitati comportamenti evasivi. In proposito, non va dimenticato che il fenomeno della sharing economy potrebbe dare luogo ad un aumento considerevole delle partite IVA con possibili ricadute sui costi di gestione e controllo da parte dell’Amministrazione.
Riguardo, più in generale, alla riscossione dell’imposta, viene condivisa l’idea che i gestori delle piattaforme assumano un ruolo di rilievo. Peraltro, in base all’art. 28 della Direttiva n. 2006/112/CE, se gli stessi agiscono in nome proprio ma per conto del prestatore del servizio si sostituiscono a quest’ultimo ai fini degli adempimenti e della liquidazione dell’imposta e, inoltre, i gestori delle piattaforme, svolgendo a tutti gli effetti un’attività commerciale in Italia (nella specie, un’attività d’intermediazione “B2C”), sono tenuti ad aprire la partita IVA anche se non sono stabiliti in Italia.
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