I versamenti dei soci alla società si presumono onerosi
di Luigi FerrajoliCon la sentenza n. 17839/2016 la Corte di Cassazione ha ribadito la sussistenza di una presunzione di onerosità dei versamenti compiuti dai soci verso la società in base al dettato dell’articolo 46 del D.P.R. 917/1986 (ex articolo 43 del Tuir) ove si stabilisce che “le somme versate alle società commerciali e agli enti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera b), dai loro soci o partecipanti si considerano date a mutuo se dai bilanci o dai rendiconti di tali soggetti non risulta che il versamento è stato fatto ad altro titolo”.
Nella fattispecie oggetto della sentenza, a seguito della verifica compiuta dalla Guardia di Finanza presso una società, l’Agenzia delle Entrate aveva sostenuto che la rinuncia alla riscossione degli utili realizzati da parte dei soci integrasse, in realtà, una forma di finanziamento suscettibile di produrre interessi.
Secondo i giudici di legittimità quanto emerso dalle indagini era sufficiente per far sorgere una presunzione di mutualità ed onerosità della rinuncia alla riscossione degli utili a favore della società effettuato da ciascun socio equiparando così la mancata distribuzione degli utili agli eventuali prestiti destinati alla società. Infatti, l’unica prova ammessa per dimostrare che il versamento sia stato compiuto per finalità diverse a quelle di mero finanziamento è costituita dalla indicazione espressa dello scopo realmente perseguito dai soci nei relativi bilanci e nei rendiconti.
In tale occasione, la Corte ha richiamato quanto già sostenuto nella sentenza n. 16445/2009 laddove già si affermava che “in tema di imposte sui redditi, l’articolo 43 del D.P.R. n. 917 del 1986 prevede, con finalità evidentemente antielusive, una presunzione legale di onerosità del prestito concesso dal socio alla società, che può essere vinta da prova contraria a carico del contribuente. Tale prova, però, non può essere fornita con qualsiasi mezzo, ma soltanto nei modi e nelle forme tassativamente stabilite dalla legge, in particolare dimostrando che i bilanci allegati alle dichiarazioni dei redditi della società contemplavano un versamento fatto a titolo diverso dal mutuo”.
Pertanto, mentre l’Ufficio viene così dispensato dalla prova della onerosità del prestito, in conformità a quanto previsto dall’articolo 2728 cod. civ., sussiste invece in capo al contribuente l’onere di dimostrare che i bilanci sociali allegati alle dichiarazioni dei redditi presentate dalla società contemplino un versamento fatto a titolo diverso dal mutuo (in senso conforme già la sentenza della Corte di Cassazione n. 11042/1998).
Di diverso avviso è l’AIDCEC che nella norma di comportamento n. 194/2016 ha evidenziato come “la presunzione contenuta nell’articolo 46 del Tuir serve a distinguere i versamenti effettuati a titolo di mutuo (fruttifero o infruttifero) da quelli effettuati a titolo diverso (tipicamente ad incremento del patrimonio netto)”. Nella massima viene inoltre precisato che qualora il versamento risulti essere stato conferito a titolo di mutuo, sulla base di quanto espresso nell’articolo 1815 cod. civ. si presume che esso sia fruttifero “salva diversa volontà delle parti” e che la prova possa essere data con qualunque mezzo. Solo in assenza di pattuizioni o nel caso di mutuo convenuto tra le parti come fruttifero senza una quantificazione della misura e della periodicità di maturazione degli interessi occorrerà fare riferimento a quanto disposto dall’articolo 45 comma 2 del Tuir secondo cui “per i capitali dati a mutuo gli interessi, salvo prova contraria, si presumono percepiti alle scadenze e nella misura pattuite per iscritto. Se le scadenze non sono stabilite per iscritto gli interessi si presumono percepiti nell’ammontare maturato nel periodo di imposta. Se la misura non è determinata per iscritto gli interessi si computano al saggio legale”.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla AIDCEC, la Cassazione nella sentenza citata ha affermato nuovamente che la presunzione di onerosità sancita dall’articolo 46 del Tuir non è vincibile con ogni mezzo specificando inoltre che, ai fini del superamento della presunzione, è irrilevante che le somme siano state utilmente investite, sebbene quest’ultima sia una circostanza certamente utile per comprendere se le stesse siano state gratuitamente elargite dai soci; dall’altro lato viene confermato che tale presunzione possa “essere vinta solo in ragione di precisi elementi, ossia fornendo la dimostrazione richiesta della iscrizione in bilancio del versamento come fatta a titolo diverso dal mutuo”.
Alla luce di tali premesse, la Cassazione ha accolto il ricorso presentato dall’Ufficio e rinviato gli atti alla Commissione tributaria di secondo grado perché si attenga al principio di diritto enunciato.
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