24 Novembre 2016

Alienazione azioni proprie: trattamento delle riserve

di Federica Furlani
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Come ormai noto, il D.Lgs. 139/2015 ha modificato il trattamento contabile riservato alle azioni proprie allineandolo alla migliore prassi internazionale, azioni proprie che, a decorrere dai bilanci relativi agli esercizi finanziari aventi inizio a partire dal 1° gennaio 2016, non potranno più trovare collocazione nell’attivo dello stato patrimoniale ma andranno iscritte a diretta riduzione del patrimonio netto, tramite l’iscrizione di una specifica voce con segno negativo, introdotta alla voce A.X del patrimonio netto “Riserva negativa per azioni proprie in portafoglio”.

La bozza del nuovo documento OIC 28 dedicato al patrimonio netto, nell’occuparsi del nuovo trattamento contabile riservato alle azioni proprie, specifica che, nel caso di loro successiva alienazione, l’eventuale differenza tra il valore contabile della riserva, in cui vanno rilevate le azioni proprie al costo d’acquisto, e il valore di realizzo delle azioni cedute, non transita per il conto economico ma va imputata ad incremento o decremento di un’altra voce del patrimonio netto, al pari di ciò che succede in caso di successivo annullamento delle azioni proprie.

È stato quindi superato l’approccio contrattuale per uniformarsi alla logica IAS/IFRS che privilegia l’approccio sostanziale: le operazioni sulle azioni proprie rappresentano nella sostanza fenomeni di restituzione di ricchezza ai soci (al momento del loro acquisto) o di acquisizione di nuovi apporti, nel caso di successiva vendita.

Non rilevano pertanto a conto economico ma solo nello stato patrimoniale.

Ipotizzando una vendita di azioni proprie ad un prezzo superiore (100.000 euro) rispetto al costo di acquisto originario (80.000 euro), la scrittura contabile sarà la seguente:

SP C.II Credito vs X a   diversi 100.000  
  SP A.X Riserva negativa per azioni proprie in portafoglio   80.000
  SP A.VI Altre riserve   20.000

Come ulteriore conseguenza della cessione, si liberano le riserve vincolate al regime di indistribuibilità e indisponibilità assoluta al momento dell’acquisto a servizio della riserva negativa, la cui individuazione ricordiamolo è rimessa all’organo amministrativo in sede di progetto di bilancio: in capo a tali riserve viene pertanto ripristinato il loro regime originario.

Qual è invece la natura della nuova posta di patrimonio netto che si genera per effetto della vendita delle azioni proprie ad un prezzo superiore al costo d’acquisto?

Nella premessa che, derivando da un nuovo apporto, ha necessariamente natura di riserva di capitale, si pone il problema di individuare il regime di distribuibilità/disponibilità della stessa.

La recente Nota 16/2016 di Assonime, nell’affrontare l’interessante argomento delle novità introdotte dal D.lgs. 139/2015 in tema di riserve, evidenzia come in dottrina non vi sia una posizione unanime sull’argomento: parte della dottrina assimila tale riserva a quella da sovrapprezzo azioni, che sarebbe la disciplina di tutti gli apporti non vincolati di capitale; per altra dottrina invece la riserva costituita con conferimenti in conto capitale dovrebbe essere considerata come una riserva volontaria.

Assonime rileva a questo proposito come, sotto il profilo operativo, la differenza tra riserva da sovrapprezzo azioni e riserva facoltativa non sia particolarmente significativa dal punto di vista della distribuibilità/disponibilità.

Ricordiamo che, ai sensi dell’articolo 2431 del codice civile, la riserva sovrapprezzo non è distribuibile fino a quando la riserva legale non ha raggiunto il quinto del capitale sociale.

Ne deriva che, anche se attribuissimo alla riserva generata dalla plusvalenza della vendita delle azioni, la natura di riserva da sovrapprezzo, il divieto di distribuzione opererebbe solo nell’ipotesi in cui la riserva legale non avesse raggiunto il quinto del capitale sociale.

Una volta soddisfatta tale condizione, la riserva sovraprezzo è distribuibile e disponibile al pari di ogni riserva facoltativa.

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