14 Gennaio 2017

Le corrette regole dell’ammortamento civilistico

di Viviana Grippo
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Le fonti civilistiche a cui far riferimento per la determinazione delle quote di ammortamento dei beni d’impresa sono costituite, oltre che dal codice civile, dai principi contabili; diversamente, i coefficienti definiti dal D.M. 31/12/1988 hanno il solo compito di individuare il valore massimo di ammortamento fiscalmente deducibile.

È quindi necessario ogni qual volta si necessiti determinare la quota di ammortamento di un cespite fare riferimento ai principi contabili. In particolare, l’OIC 16 stabilisce che il valore di una immobilizzazione materiale da ammortizzare è costituito dalla differenza tra il costo dell’immobilizzazione, determinato secondo i criteri enunciati nel principio stesso, e, se determinabile, il suo valore residuo al termine del periodo di vita utile, dove per valore residuo si intende il presumibile valore realizzabile del bene al termine del periodo di vita utile.

In merito al costo, il principio contabile asserisce che il costo d’acquisto è rappresentato dal costo effettivamente sostenuto per l’acquisizione del bene. In particolare il costo di acquisto comprende anche i costi accessori, quali, per esempio:

  1. per i fabbricati: i costi notarili per la redazione dell’atto di acquisto; le tasse per la registrazione dell’atto di acquisto; i costi riferibili alla stipula dell’eventuale preliminare di acquisto; gli onorari per la progettazione dell’immobile; i costi per opere di urbanizzazione primaria e secondaria poste dalla legge obbligatoriamente a carico del proprietario; i compensi di mediazione;
  2. per gli impianti e i macchinari: i costi di progettazione; i trasporti; i dazi su importazione; i costi di installazione; i costi ed onorari di perizie e collaudi; i costi di montaggio e posa in opera; i costi di messa a punto;
  3. per i mobili: il trasporto e i dazi su importazione.

Il costo di acquisto può essere anche rappresentato dal costo di produzione il quale comprende i costi diretti (materiale e mano d’opera diretta, costi di progettazione, forniture esterne, ecc.) e i costi generali di produzione, per la quota ragionevolmente imputabile al cespite durante il periodo della sua fabbricazione fino al momento in cui esso è pronto per l’uso. Con gli stessi criteri possono essere aggiunti gli oneri relativi al finanziamento acceso per la fabbricazione (diversamente i costi legati a scioperi, inefficienze o altre cause estranee all’attività di costruzione non sono capitalizzabili e sono addebitati al conto economico dell’esercizio in cui si sostengono).

Seguendo quanto esposto dovremmo desumere che nel momento in cui si procede all’ammortamento di un bene, a definire cioè il suo piano di ammortamento, si dovrà conoscere il valore di presumibile cessione che lo stesso avrà al termine del suo utilizzo. Procedendo come comunemente accade, ammortizzando cioè l’intero valore di originario acquisto del bene, si sta implicitamente dichiarando che il valore del bene al termine del processo di ammortamento è pari a zero. Invero è più che probabile che all’atto della dismissione di un cespite completamente ammortizzato si realizzi una plus o minusvalenza.

Per adeguarsi alle indicazione dei principi contabili, un’impresa, che necessita di impianti sempre all’avanguardia, e quindi di impianti che non possono essere sfruttati sino al loro esaurimento ma che abbisognano di essere sostituiti ripetutamente e in brevi lassi temporali, dovrà stabilire, prima di iniziare l’ammortamento, quale sia il valore di presumibile realizzo del bene ed operare l’ammortamento sul valore residuo.

Per esempio se l’impresa utilizza un macchinario

  • la cui durata fisica è di 5 anni,
  • il cui costo di acquisto è pari a 100.000 euro,
  • sfruttabile a causa dell’obsolescenza di settore per soli 3 anni,
  • cedibile in sede di dismissione per euro 30.000,

il piano di ammortamento triennale dell’azienda dovrà tener conto del solo importo di euro 70.000 (differenza tra 100.000 e 30.000).

Occorre poi ricordare che a ciò si affianca il dettato codicistico, il quale all’articolo 2426, numero 2, prevede che il costo delle immobilizzazioni, la cui utilità è limitata nel tempo, deve essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione alla residua possibilità di utilizzazione.

In pratica, quindi, il piano di ammortamento civilistico deve:

  • essere sistematico;
  • prevedere quote costanti o decrescenti (è vietata dal medesimo principio contabile l’assunzione di quote crescenti contrarie al principio di prudenza);
  • avere inizio quando il bene è disponibile e pronto all’uso (non dal momento di effettivo utilizzo come previsto dalla norma fiscale);
  • tener conto del presumibile valore di realizzo del bene.

Va inoltre ricordato che il principio contabile 16 prende anche in considerazione il caso di interruzione del processo di ammortamento; al riguardo possono verificarsi due fattispecie:

  • i cespiti vengono destinati alla vendita;
  • i cespiti sono obsoleti e quindi inutilizzabili.

In particolare, quando il bene è destinato alla vendita, si pensi ancora al caso dell’azienda altamente tecnologica che necessita di sostituire il cespite con un altro più performante, esso deve figurare non più tra le immobilizzazioni materiali ma nell’attivo circolante (al minore tra il valore netto contabile e il valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, ex articolo 2426, comma 1, numero 9, codice civile) e, di conseguenza, non deve più essere assoggettato ad ammortamento.

A tal fine:

  • il bene deve essere vendibile nelle condizioni in cui si trova al momento della data di riferimento del bilancio;
  • la vendita deve essere altamente probabile;
  • la vendita deve avvenire nel breve periodo.
Dottryna