Accertamenti sui prelievi: la nuova norma non si applica per il passato
di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365L’Agenzia delle Entrate nel corso di Telefisco 2017 ha affrontato tra l’altro la tematica delle modifiche apportate alle indagini finanziarie, dando però risposte sin troppo scontate (dovendosi comunque sottolineare che le domande lo erano altrettanto). Il D.L. 193/2016 è intervenuto in materia di presunzioni derivanti dalle risultanze di un accertamento bancario, stabilendo che:
- in riferimento ai professionisti, non è mai applicabile la presunzione in ordine ai prelievi, in perfetta adesione a quanto stabilito dalla Corte Costituzionale nella sentenza 228 del 2014;
- per i titolari di reddito d’impresa, non è possibile muovere contestazioni in ordine ai prelievi se di ammontare non superiore a 000 euro e comunque con un tetto massimo di 5 mila euro mensili.
Il primo quesito posto ha riguardato proprio i professionisti, laddove si è chiesto all’Amministrazione finanziaria se la modifica normativa apportata potesse riguardare anche il mondo dei versamenti, così come era stato paventato in occasione dei lavori parlamentari. In tutta franchezza, la domanda appare priva di fondamento, dato appunto che la volontà di intervenire sui versamenti è rimasta a livello di “mera intenzione” non tradotta in norma, ed infatti la risposta dell’Agenzia delle Entrate è stata banale nella direzione di ritenere intatta la presunzione sui versamenti. Forse sarebbe stato il caso di chiedere all’Amministrazione finanziaria se, in aderenza a quanto sottolineato dalla Corte Costituzionale circa i conti correnti “promiscui” (ossia con impatto nella sfera personale dei titolari) e privi di specifici obblighi contabili, l’automatismo accertativo “analitico” potesse essere accantonato a favore dell’accettazione di una prova difensiva fondata su elementi presuntivi secondo il principio dell’id quod plerumque accidit. In parole povere, posto che i professionisti (ma anche i titolari di reddito d’impresa non in contabilità ordinaria) possono utilizzare liberamente i propri contanti incassati nell’attività, si rende necessaria una interpretazione logica sulla prova difensiva ammessa, atteso che, ad esempio, a fronte di un incasso di 1.000,00 euro, non vi è alcuna disposizione (non solo fiscale), che obblighi all’immediato versamento in banca e per l’intero importo, così come nulla vieta di trattenere 300 euro nella sfera privata e 200 euro per l’attività, procedendo qualche giorno dopo al versamento di 500 euro. Ritenere che detto importo, poiché non corrispondente alla cifra incassata, non sia giustificato appare del tutto assurdo, eppure esempi simili continuano a rinvenirsi negli accertamenti emessi.
Non resta che attendere lumi dalla Corte di Cassazione, invero più che mai confusionaria sul tema con posizioni favorevoli e contrarie, ritenendo però di poter affermare che una gestione logica del conto corrente (come nell’esempio suesposto), dovrebbe consentire un’idonea fase difensiva.
Il secondo quesito posto ha invece riguardato le nuove disposizioni sui prelievi bancari per il mondo del reddito d’impresa. Anche in questa direzione la domanda ha offerto su di un piatto d’argento la risposta all’Agenzia delle Entrate, in quanto si è chiesta conferma che la nuova norma trovi applicazione solo per gli accertamenti emessi a decorrere dall’entrata in vigore della legge di conversione del D.L. 193/2016 (ossia dal 3 dicembre 2016 in poi). Inutile sottolineare la risposta affermativa giunta; in realtà ci saremmo meravigliati di una “apertura” verso l’applicazione della nuova disposizione per tutti i contenziosi ancora in corso. Ciò non toglie che proprio nell’ambito dei contenziosi in essere, ad avviso di chi scrive e a prescindere dalla posizione espressa in Telefisco, una eccezione riferita ai prelievi contestati che rientrano nelle nuove soglie normative deve essere effettuata, perché magari una diversa interpretazione giurisprudenziale potrebbe aversi.
Anche sui prelievi, comunque, l’occasione poteva essere utile per esplorare situazioni ancora irrisolte. In primo luogo la corretta portata dell’obbligo difensivo circa l’indicazione del beneficiario, argomento sul quale mai l’Amministrazione finanziaria si è espressa chiaramente. Ed in secondo luogo proprio in ordine ai punti oscuri della nuova disposizione, soprattutto nelle casistiche di conti correnti di terzi soggetti collegati al contribuente verificato (si immagini un accertamento esteso ai conti dei familiari, nel qual caso occorre chiedersi se i limiti di non contestazione sono riferiti al contribuente accertato o ai singoli titolari dei conti corrente), o ancora nelle ipotesi di conto corrente cointestato (laddove è necessario comprendere se il limite riguarda il singolo conto corrente o è relativo ad ogni singolo intestatario).
Non resta che attenersi al momento al solo messaggio implicito (ma ben palese) che ne deriva: entro i limiti normativi ognuno può fare quel che vuole. Davvero è paradossale la strada scelta dal legislatore. Volendo provocare, un contribuente che ha necessità di 9 mila euro in contanti potrebbe prelevare 900 euro ogni giorno negli ultimi 5 giorni di un mese e nei primi cinque del mese successivo, senza temere risvolti negativi. Ciò può sembrare illogico (e francamente lo è), ma è l’ovvia conseguenza di una norma del tutto atecnica e senza alcuna valida motivazione in ordine alla scelta effettuata.
Un intervento normativo tecnico e sensato doveva andare nella direzione di obbligare gli uffici dell’Agenzia delle Entrate, nel caso di utilizzo della presunzione sui prelievi, a ricorrere all’accertamento induttivo puro, con annesso ulteriore obbligo di riconoscere sempre al contribuente accertato un’adeguata percentuale di “costi occulti”. Solo in questo modo si riusciva a ridare dignità alla norma, con una interpretazione costituzionalmente orientata. Ora invece si è partorita una disposizione bislacca rispetto alla quale la parola d’ordine da rivolgere alle aziende è una soltanto: non azzardatevi a superare le soglie normative. Nessuno però deve scandalizzarsi, posto che davvero ormai nel fisco italiano accade tutto e il contrario tutto (come nel fantastico caso del nuovo regime di cassa, che in pratica può essere derogato liberamente in un regime di registrazione con il solito adagio: ognuno faccia come gli pare). Solo che a differenza del passato, ove alcuni applicavano il principio “fatta la norma, trovato l’inganno”, in questo caso è proprio il legislatore a delimitare il comportamento “ingannevole” ritenuto giustificato; almeno da questo punto di vista gli sforzi di detti contribuenti sono stati semplificati.
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