Profili Iva del consignment stock nei rapporti intra-UE
di Marco PeiroloCon il “consignment stock”, le parti stipulano un accordo avente una struttura simile a quella del contratto estimatorio, definito dall’articolo 1556 cod. civ. come il contratto con il quale una parte (tradens) consegna determinati beni ad un’altra parte (accipiens) con l’obbligo, di quest’ultima, di pagarne il relativo prezzo o di restituirli nel termine stabilito.
Lo schema negoziale del consignment stock, utilizzato soprattutto nel commercio internazionale, si basa sul trasferimento di beni di proprietà del fornitore presso un deposito del cliente, il quale ha la facoltà, in base alle sue esigenze, di effettuare prelievi in qualsiasi momento. La caratteristica essenziale di questo tipo di pattuizione consiste nella circostanza che il diritto di proprietà sui beni si trasferisce in capo al cliente solo nel momento del prelievo da parte del medesimo. Con il consignment stock si ha, quindi, il vantaggio, per l’acquirente, di spostare in avanti nel tempo il momento dell’uscita finanziaria, dato che l’acquirente stesso, in assenza del prelievo, nonostante abbia la possibilità di ritirare la merce dal magazzino a suo piacimento, non sarà tenuto ad effettuare alcun pagamento.
In ambito intracomunitario, con la R.M. 235/E/1996 è stato affermato che, in considerazione della particolare clausola utilizzata per la vendita delle merci, che comporta uno stoccaggio presso i locali dell’acquirente il quale ha l’esclusiva dell’acquisto, si è in presenza di un’unica operazione, cioè la cessione intracomunitaria, che si considera effettuata non all’atto dell’invio dei beni nel territorio di altro Stato membro, bensì nel momento in cui si produce l’effetto traslativo della proprietà per l’acquirente, vale a dire all’atto del prelievo dei beni dal deposito ad opera di quest’ultimo.
È in relazione a tale momento e, in ogni caso, non oltre un anno dalla consegna o spedizione dei beni, ex articolo 39 del D.L. 331/1993, che il fornitore nazionale provvederà ad emettere fattura non imponibile Iva ai sensi dell’articolo 41, comma 1, lettera a), del D.L. 331/1993 e a presentare il modello INTRA 1-bis. Naturale conseguenza di questa impostazione è che, all’atto del verificarsi del prelievo, e quindi della cessione intracomunitaria, verrà a costituirsi il plafond per l’acquisto o l’importazione di beni e servizi senza applicazione dell’imposta.
Come precisato dalla citata R.M. 235/E/1996, la movimentazione intracomunitaria dei beni in esecuzione dell’accordo di consignment stock, che possono essere accompagnati da un documento di trasporto, deve risultare dall’annotazione nel registro di cui all’articolo 50, comma 5 del D.L. 331/1993.
Nella successiva R.M. 44/E/2000 è stata espressa l’opinione, con riferimento all’ipotesi speculare, cioè di fornitore comunitario e acquirente italiano, che si è sempre in presenza di un’unica operazione, ossia l’acquisto intracomunitario, che si verifica solo nel momento in cui si realizzano gli effetti traslativi del diritto di proprietà, nella specie all’atto del prelievo dei beni dal deposito. È in relazione a tale momento, pertanto, che deve essere presentato il modello INTRA 2-bis.
Nella stessa occasione, è stato anche precisato che i beni, di proprietà del cedente, devono essere nella piena disponibilità del cessionario, ancorché custoditi per conto di quest’ultimo presso un terzo soggetto; quindi, rispetto a quanto indicato nella R.M. 235/E/1996, i beni movimentati da un Paese membro all’altro non devono essere necessariamente introdotti nei locali dell’acquirente, potendo essere stoccati presso i locali di un terzo soggetto, purché la merce sia nella piena disponibilità del cessionario, il quale pertanto deve essere in grado di disporne liberamente ai fini dell’utilizzo nell’ambito del proprio processo produttivo o per essere rivenduti.
In conformità a quanto precisato dalla richiamata R.M. 235/E/1996, il cessionario italiano è tenuto ad annotare in apposito registro i movimenti dei beni provenienti dall’altro Stato membro, provvedendo, all’atto del prelievo degli stessi, all’adempimento di tutti gli obblighi connessi con l’acquisto intracomunitario posto in essere.
Gli effetti dell’omessa istituzione del registro, al pari della sua omessa compilazione, non sono espressamente disciplinati né sul piano comunitario, né su quello interno.
Secondo la giurisprudenza di merito, la finalità sottesa all’istituzione del registro non è, in via principale, quella di individuare uno strumento idoneo a vincere le presunzioni di cessione e di acquisto, quanto, piuttosto, quella di fornire un valido supporto per controllare i movimenti di beni nell’ambito del territorio comunitario, soprattutto a seguito della caduta delle barriere doganali (C.T.P. di Cuneo n. 145/2/12 del 2012). Secondo questa impostazione, la violazione dell’obbligo di tenuta del registro comporta la sola irrogazione della sanzione amministrativa di cui all’articolo 9, commi 1 e 3, del D.Lgs. 471/1997, ma non anche la riqualificazione dell’operazione come trasferimento a “se stessi”.
Questa conclusione è stata confermata dalla Corte di Cassazione, che con la sentenza 26003/2014 ha osservato che l’articolo 50 del D.L. 331/1993, nel disciplinare gli obblighi formali connessi agli scambi intracomunitari, opera su un piano diverso da quello dell’identificazione dei presupposti di fatto della fattispecie di non imponibilità, limitandosi ad individuare gli adempimenti formali volti ad agevolare il successivo controllo da parte degli Uffici finanziari e ad evitare atti elusivi o di natura fraudolenta. Di conseguenza, la violazione di un obbligo formale, qual è quello in esame, non può avere effetto sostanziale, determinando, cioè, la riqualificazione del trasferimento intracomunitario nell’ambito di un consignment stock in un’operazione assimilata ad uno scambio intracomunitario.