Violazioni sostanziali del quadro RW
di EVOLUTIONGli aspetti sanzionatori del quadro RW sono connessi sia violazioni formali e che a violazioni sostanziali. Nell’ambito di queste ultime operano due significative presunzioni legali relative, da cui possono scaturire delle importanti conseguenze anche in termini di imposte dovute.
Si tratta, in particolare della:
- presunzione di fruttuosità di cui all’articolo 6 del D.L. 167/1990;
- presunzione di evasione contenuta nell’articolo 12, comma 2, del D.L. 78/2009.
In ordine alla prima presunzione, che storicamente è parte integrante della disciplina sul monitoraggio fiscale (pur risultando comunque integrata ad opera dell’articolo 9 della L. 97/2013), l’articolo 6 del decreto stabilisce che “gli investimenti esteri e le attività estere di natura finanziaria … senza che ne risultino dichiarati i redditi effettivi, si presumono, salvo prova contraria, fruttiferi in misura pari al tasso ufficiale di riferimento vigente in Italia … a meno che, in sede di dichiarazione dei redditi, venga specificato che si tratta di redditi la cui percezione avviene in un successivo periodo d’imposta, o sia indicato che determinate attività non possono essere produttive di redditi”.
A livello operativo tale specificazione avviene, con riguardo al modello Redditi PF 2017, indicando il codice diagnostico “5” all’interno del campo 18 del rigo RW1 (o seguenti).
Il medesimo articolo 6 dispone inoltre che “la prova delle predette condizioni deve essere fornita dal contribuente entro 60 giorni dal ricevimento della espressa richiesta notificatagli dall’ufficio delle imposte”. A tal proposito le istruzioni al modello avvertono gli interessati dell’opportunità di acquisire dagli intermediari esteri documenti o attestazioni idonei a comprovare quanto dichiarato.
Per quanto attiene invece alla seconda, ben più “pesante”, presunzione di legge, si rammenta che, giusta il disposto dell’articolo 12, comma 2, del D.L. 78/2009, gli investimenti e le attività estere di natura finanziaria detenuti in paesi “black list”, in violazione degli obblighi di monitoraggio, “ai soli fini fiscali si presumono costituite, salva la prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione”.
In pratica, sulla base di tale presunzione, fatta salva la possibilità per il contribuente di fornire prova contraria, per la quale si ritiene che possa essere ammesso qualsiasi mezzo, l’intero investimento estero ha natura reddituale.
In proposito si osserva come la norma non richieda all’Amministrazione finanziaria di ricondurre il reddito presuntivo ad una delle categorie previste dall’articolo 6 del Tuir, né contenga una presunzione di appartenenza ad una delle sei fattispecie impositive (che potrebbero essere soggette ad imposizione secondo modalità differenti: tassazione ordinaria, tassazione separata o imposta sostitutiva).
In aggiunta a questa presunzione, il medesimo comma 2 dell’articolo 12 stabilisce che “in tale caso, le sanzioni previste dall’articolo 1 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, sono raddoppiate”.
Quest’ultima previsione, che è già di per sé sintomatica del caos normativo a livello di sanzioni tributarie amministrative, genera ancora più confusione alla luce delle modifiche apportate all’articolo 1 del D.Lgs. 471/1997 ad opera del D.Lgs. 158/2015.
È infatti dubbio se il raddoppio abbia effetto per tutte le nuove misure sanzionatorie ivi previste (ad esempio anche a quella incrementata del 50% per effetto di condotte fraudolente) ovvero, considerato che all’epoca di entrata in vigore del decreto legge esistevano solo le “sanzioni base” (per dichiarazione omessa e infedele), debba intendersi circoscritto unicamente a queste ultime, le quali sono le uniche applicabili nelle fattispecie in rassegna.
Non è inoltre chiaro quale sia la base di commisurazione del raddoppio, atteso che l’articolo 1 richiamato prevede già da sé degli incrementi sanzionatori per i redditi prodotti all’estero e tutti i territori “black list” sono evidentemente paesi esteri.
La circolare AdE 11/E/2010, ad esempio, interpreta questa disposizione nel senso che la sanzione per dichiarazione infedele che ne discende è pari (considerando, ai fini del ravvedimento operoso, la misura sanzionatoria attualmente in vigore) al 180% della maggior imposta, trascurando però che l’ultimo comma dell’articolo 1 già stabilisce un aumento di 1/3 delle sanzioni se le relative imposte derivano da redditi prodotti all’estero.
Non si comprende quindi se tale indicazione sia stata data a ragion veduta oppure se, come obiettivamente appare, sia più che altro frutto di una svista, in quanto non sembra potersi dubitare che la sanzione per infedele dichiarazione vada nella fattispecie dal 240% al 480%, cioè dal doppio del 90% e del 180% aumentati di un terzo, non ravvisandosi ragioni per cui non dovrebbe trovare applicazione l’incremento sanzionatorio previsto dall’ultimo comma dell’articolo 1.
Al di là delle opinioni che si possono avere al riguardo, rimane comunque un tema di legittimo affidamento del contribuente, che, in sede di ravvedimento operoso, ben potrà considerare quale sanzione di riferimento quella (più favorevole) esplicitata dalla circolare 11/E/2010.
Per completezza si precisa che, analogamente a quanto previsto con riguardo al raddoppio del termine di decadenza per la contestazione delle violazioni formali, anche per quanto attiene la presunzione in rassegna i termini ordinariamente previsti per la notifica degli avvisi di accertamento ai fini sia delle imposte dirette che dell’Iva vengono raddoppiati.
Nella Scheda di studio pubblicata su Dottryna sono approfonditi, tra gli altri, i seguenti aspetti:
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17 Maggio 2017 a 9:28
sono pazzi questi romani …Asterik