Il recesso ad nutum nelle Srl
di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi TributariIl diritto di recesso del socio di Srl può essere esercitato, in alcuni casi, anche in assenza di una delibera che lo “provochi”, poiché la presenza di determinate clausole nello statuto può essere sufficiente a garantire l’esercizio del diritto in qualsiasi momento della vita sociale.
Dopo la riforma del diritto societario, una delle caratteristiche che contraddistinguono le società a responsabilità limitata è l’ampia libertà dei soci di poter inserire nello statuto sociale delle clausole che regolano la vita della società, alcune delle quali limitano, tuttavia, in maniera importante la libertà del socio. È evidente che a fronte di tale compressione, il legislatore abbia previsto dei meccanismi “correttivi” che consentono allo stesso, in qualsiasi momento, di esercitare il diritto di recesso e di ottenere la liquidazione della propria quota di partecipazione in società.
Normalmente, infatti, il recesso di un socio è la conseguenza di un comportamento della maggioranza del capitale sociale che determina una sostanziale modifica della posizione del socio di minoranza. In tal senso, l’articolo 2473, comma 1, del codice civile, consente al socio di esercitare il diritto di recesso in presenza di delibere (od operazioni) che comportino una sostanziale modifica dell’oggetto sociale, il cambiamento del tipo sociale (trasformazione), ovvero in presenza di operazioni di fusione e scissione e laddove venga trasferita la sede all’estero. Risulta del tutto evidente che in tali casi la posizione del socio subisce importanti modifiche a seguito della decisione dell’assemblea presa a maggioranza, con la conseguenza che il socio stesso che non acconsente alla delibera può scegliere se “subire” la scelta della maggioranza o esercitare il diritto di recesso.
Vi sono invece altre situazioni in cui il diritto di recesso è esercitabile per il solo fatto che lo statuto sociale prevede delle forti limitazioni alla libertà del socio. La prima ipotesi è contenuta nell’articolo 2473, comma 2, del codice civile, secondo cui nel caso di società contratta a tempo indeterminato, il socio può esercitare il diritto di recesso in qualsiasi momento, previo preavviso di almeno 180 giorni (termine elevabile dallo statuto fino a un massimo di un anno). La ratio della norma è evidente, poiché se da un lato è legittima la clausola secondo cui la società non ha un termine di durata, dall’altro non è possibile costringere il socio a stipulare un contratto a tempo indeterminato, di conseguenza lo stesso può manifestare la volontà di sciogliere il rapporto sociale in qualsiasi momento.
La seconda ipotesi è contenuta nell’articolo 2469, comma 2, del codice civile, secondo cui qualora lo statuto contenga una clausola di intrasferibilità assoluta delle partecipazioni sociali, ovvero una clausola che subordini il trasferimento al mero gradimento di un organo sociale, di soci o di terzi, il socio può esercitare il diritto di recesso. Anche per tale ipotesi le motivazioni sottostanti sono evidenti, poiché se da un lato la società può cercare di “blindare” la composizione della compagine sociale, dall’altro il socio non può essere costretto a rimanere nell’ambito societario, ragion per cui ha un diritto di “exit” che anche in questo caso può essere esercitato ad nutum in qualsiasi momento della vita sociale.
Va sottolineato, infine, che l’esercizio del diritto di uscita da parte del socio in questi casi potrebbe essere utilizzato anche strumentalmente al fine di ottenere un rimborso del valore della quota significativo, laddove il recesso sia esercitato in un momento in cui la società presenti un valore particolarmente elevato.