Macchinario prodotto in parte nello Stato UE di assemblaggio
di Marco PeiroloNella prassi commerciale può capitare che una società italiana venda un macchinario ad un cliente di altro Stato UE. Il macchinario viene prodotto in parte in Italia per essere poi assemblato nello Stato UE di destinazione con altri materiali acquistati da un fornitore locale e da quest’ultimo fatturati con IVA poiché tali beni sono consegnati direttamente al cliente comunitario senza essere precedentemente inviati in Italia. La vendita dei materiali è connessa ad un unico contratto di fornitura del macchinario completo.
Si pone il problema di come la società nazionale debba fatturare la vendita complessiva del macchinario (es. non imponibile IVA ai sensi dell’articolo 41 del D.L. n. 331/1993 per la parte prodotta in Italia e non soggetta ai sensi dell’articolo 7-bis del D.P.R. n. 633/1972 per la parte acquistata direttamente e consegnata nello Stato UE di destinazione) e se sia possibile ottenere il rimborso dell’IVA pagata al fornitore non residente senza la previa apertura della posizione IVA nello Stato UE del cliente.
Sul piano unionale, le cessioni di beni con installazione e montaggio, con o senza collaudo, sono qualificate dall’articolo 36 della Direttiva n. 2006/112/CE come operazioni territorialmente rilevanti nel luogo dell’installazione o del montaggio a cura del fornitore o da terzi per suo conto. Se l’installazione o il montaggio avviene in altro Stato UE, come nella fattispecie in esame, l’articolo 41, comma 1, lett. c), del D.L. n. 331/1993 dispone, invece, che l’operazione assume natura intracomunitaria, per cui la società italiana deve emettere fattura in regime di non imponibilità, peraltro anche quando la fornitura sia eseguita in dipendenza di contratti d’opera, d’appalto e simili (C.M. n. 13-VII-15-464/1994, § B.1.3). Sul punto, ad una diversa conclusione potrebbe giungersi in base all’orientamento della giurisprudenza della Corte di giustizia, per la quale una cessione di beni con posa in opera integra una cessione di beni ai fini IVA solo se il prezzo del bene rappresenta una parte preponderante del costo complessivo dell’operazione e i servizi forniti si limitano alla posa in opera del bene, senza alterarne la natura e senza adattarlo alle esigenze specifiche del cliente (causa C-111/05 del 29 marzo 2008).
Al di là di tale ultimo aspetto, il citato articolo 41, comma 1, lett. c), del D.L. n. 331/1993 non è evidentemente allineato all’articolo 36 della Direttiva n. 2006/112/CE, che qualifica l’operazione, nella sua interezza, come territorialmente rilevante nello Stato UE in cui avviene l’installazione o il montaggio, escludendo pertanto che il fornitore possa applicare alla cessione il titolo di non imponibilità previsto per le cessioni intracomunitarie.
È il caso di osservare che se determinati materiali sono acquistati da un fornitore locale e da quest’ultimo fatturati con IVA, in quanto tali beni sono consegnati direttamente al cliente comunitario nell’ambito dell’unico contratto di fornitura del macchinario completo stipulato con la società italiana, è senz’altro corretto che il fornitore addebiti alla società italiana l’imposta relativa ai materiali ceduti, in quanto l’operazione soddisfa il presupposto territoriale e non sussistono i requisiti per applicare il regime di non imponibilità previsto per le cessioni intracomunitarie, in assenza della movimentazione fisica dei beni verso l’Italia.
Nel rapporto tra la società nazionale e il suo cliente comunitario, per rispettare la previsione di non imponibilità richiamata dall’articolo 41, comma 1, lett. c), del D.L. n. 331/1993, occorre valorizzare distintamente, in sede di fatturazione:
- da un lato, il corrispettivo dei componenti inviati dall’Italia (comprensivo di installazione), soggetto al regime di non imponibilità; e
- dall’altro, il corrispettivo dei materiali acquistati in loco (comprensivo di installazione), escluso da IVA ai sensi dell’articolo 7-bis, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 siccome imponibile nello Stato UE in cui gli stessi vengono assemblati.
In via generale, per i beni destinati ad essere installati o montati, i vari Stati UE prevedono l’applicazione del reverse charge, con assolvimento dell’imposta in capo al destinatario. In questa ipotesi, è possibile ritenere che la società italiana, in sede di riaddebito dei materiali nell’ambito del contratto di fornitura del macchinario, non sia tenuta ad identificarsi ai fini IVA nello Stato UE di consegna del macchinario assemblato, per cui l’imposta è assolta dal cliente estero sull’intero corrispettivo pattuito per il contratto di fornitura del macchinario completo e, attraverso la distinta valorizzazione dei componenti provenienti dall’Italia rispetto a quelli acquistati dai fornitori locali, si evita che la società italiana incrementi illegittimamente il plafond disponibile per effettuare acquisti e importazioni senza applicazione dell’IVA.
Per quanto riguarda il rimborso dell’imposta pagata dalla società nazionale in sede di acquisto dei materiali nello Stato UE di assemblaggio del macchinario, la procedura di cui all’articolo 38-bis2 del D.P.R. n. 633/1972 presuppone che il richiedente, nel periodo di riferimento dell’istanza (non inferiore a tre mesi e non superiore all’anno solare), non abbia effettuato operazioni attive nello Stato UE di rimborso diverse da quelle espressamente consentite, tra le quali figurano le operazioni in reverse charge.
A questo proposito, se la rivendita dei materiali acquistati in loco fosse autonomamente assoggettata ad imposta previa apertura di un numero di partita IVA, il rimborso sarebbe automaticamente precluso. Laddove, invece, previa verifica della legislazione locale, la società italiana non sia tenuta ad identificarsi ai fini IVA, il rimborso può essere secondo la disciplina del citato articolo 38-bis2 del D.P.R. n. 633/1972.