17 Luglio 2017

A chi riferire le contestazioni sulla stabile organizzazione “occulta”?

di Fabio Landuzzi
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In linea di principio, quando l’Amministrazione finanziaria contesta l’esistenza di redditi prodotti nel territorio dello Stato mediante l’operatività di una stabile organizzazione “occulta” di un soggetto non residente, il soggetto a cui imputare il reddito ascrivibile alla stabile organizzazione dovrebbe essere la stessa impresa non residente. In realtà, l’individuazione del soggetto passivo a cui imputare il reddito della stabile organizzazione, ed anche di colui che avrà la capacità di stare in giudizio avverso tale accertamento, è tutt’altro che agevole e presenta nella pratica situazioni controverse di non immediata soluzione.

Infatti, l’arresto della Suprema Corte (sentenza n. 16106/2011) intravede nella stabile organizzazione un autonomo centro di imputazione dei rapporti tributari, così da attribuirgli una soggettività tributaria; fatto proprio questo orientamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, all’atto pratico ne deriva che ogni qualvolta la stabile organizzazione occulta dell’impresa estera viene contestata come esistente in seno ad una società residente in Italia, destinataria dell’avviso di accertamento conseguente a tale contestazione è la società italiana a cui si assommeranno tanto i redditi propri, ossia quelli conseguiti svolgendo la propria attività, e sia quelli contestati in quanto ascritti per effetto dell’attività accertativa dell’Amministrazione finanziaria alla presunta stabile organizzazione occulta dell’impresa estera.

Questo orientamento, a dire il vero, non corrisponde a quello che la stessa Cassazione aveva assunto con la sentenza n. 7682/2002 in cui era stato riconosciuto che il soggetto passivo d’imposta poteva essere solamente la società estera; ma tant’è: ciò che si constata nella prassi è che i redditi contestati alla stabile organizzazione occulta dell’impresa non residente sono oggetto di accertamento rivolto alla società residente in Italia.

Si tratta evidentemente di una soluzione non soddisfacente sotto il profilo tecnico e che genera effetti controversi.

Si pensi dapprima alla individuazione del soggetto titolato a ricevere l’avviso di accertamento e ad impugnarlo dinanzi alla competente commissione tributaria; secondo l’approccio sopra delineato, tale soggetto dovrebbe essere la stabile organizzazione occulta, ma nella pratica si osserva sovente che le notifiche sono effettuate a tutti i potenziali attori coinvolti: la stabile organizzazione, la società residente in Italia presso cui si presume si trovi la stabile organizzazione e l’impresa estera titolare della presunta stabile organizzazione.

Un secondo aspetto attiene poi alla modalità con cui il reddito accertato dalla stabile organizzazione viene contestato. Ciò spesso avviene, come detto, mediante la rettifica della dichiarazione dei redditi della società residente in Italia in seno alla quale si presume si incorpori la stabile organizzazione del soggetto estero. Ma questa modalità contravviene al principio che vede la società estera come reale soggetto passivo per tutti i redditi prodotti nel territorio italiano ai sensi dell’articolo 23, del Tuir, e separatamente per quelli realizzati appunto mediante l’operatività di una stabile organizzazione, seppure nei limiti dei redditi che ad essa sono strettamente riferibili. Inoltre, sovente il reddito accertato è determinato avuto riguardo solo alla ricostruzione di presunti componenti positivi di reddito, magari deducendo costi calcolati con modalità del tutto forfetarie.

A questa modalità di determinazione del reddito accertato alla stabile organizzazione di cui è contestata l’esistenza, ma di fatto attribuito alla società residente in Italia, consegue poi che anche le correlate sanzioni amministrative siano irrogate sempre a tale ultimo soggetto, con ulteriore spiacevole conseguenza, non ultima sotto il profilo della responsabilità penale; un effetto, anche questo, che non risulta convincente e che meriterebbe una precisa riflessione e definizione.

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