L’inammissibilità del ricorso per carente indicazione dei motivi
di Luigi FerrajoliCon la sentenza n. 10524 depositata il 28 aprile 2017, la Quinta sezione civile della Corte di Cassazione ha ribadito che solo l’assoluta mancanza o incertezza dei motivi di ricorso ne determina l’inammissibilità ex articolo 18, commi 2, lett. e), e 4, del D.Lgs. 546/1992; non incorre quindi in detta sanzione l’enunciazione sintetica del motivo che non raggiunge un particolare livello di specificità purché si presenti tale da consentire l’individuazione del nucleo della censura rivolta all’atto impugnato.
Nel caso in esame, a seguito di un’indagine finanziaria effettuata su rapporti intrattenuti da un contribuente con alcune banche italiane, l’Agenzia delle Entrate aveva notificato due avvisi di accertamento recuperando a tassazione redditi diversi, ex articolo 81 del D.P.R. 917/1986, ritenendo alcune movimentazioni bancarie (accrediti) provenienti da banche estere non “compatibili con la complessiva capacità contributiva del contribuente“, sicché i relativi importi erano stati appunto qualificati come “redditi diversi”.
Impugnati i due anzidetti avvisi di accertamento, la CTP competente aveva rideterminato il maggior reddito imponibile accogliendo, solo parzialmente, il presentato ricorso, per cui il contribuente medesimo aveva proposto appello innanzi alla CTR che, tuttavia, ne aveva dichiarato la nullità ritenendo la narrazione lacunosa in fatto e diritto, atteso che, dalla lettura del ricorso stesso, non si evincevano le ragioni della legittimità dei comportamenti finanziari e l’illegittimità dell’attività accertativa dell’Agenzia delle Entrate.
Il contribuente aveva quindi proposto ricorso in Cassazione lamentando, tra gli altri vizi, l’error in procedendo per violazione degli articoli 18, comma 2, lett. e) e comma 4 del D.Lgs. 546/1992, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, poiché la CTR aveva erroneamente dichiarato la nullità del ricorso introduttivo, con conseguente sua inammissibilità, in ragione di un’asserita mancata indicazione nel ricorso medesimo dei motivi di impugnazione avverso gli avvisi di accertamento de quibus.
A detta del ricorrente, il ricorso sarebbe stato inammissibile solo se fosse mancata ovvero assolutamente incerta l’indicazione dei motivi di censura dell’atto impositivo impugnato, circostanza non ravvisabile nel caso di specie.
Il ricorrente aveva, infatti, evidenziato che nell’atto di appello risultavano chiaramente evincibili le ragioni di fatto e diritto per le quali lo stesso aveva chiesto al giudice tributario l’annullamento dei suddetti avvisi di accertamento.
Analizzato il ricorso, la Cassazione ha ritenuto fondata la doglianza mossa dal contribuente e non corretta l’interpretazione offerta dalla CTR relativa alla nullità del ricorso introduttivo del giudizio, frutto dell’accoglimento dell’eccezione proposta dall’Ufficio avente ad oggetto la mancanza o l’assoluta incertezza dell’indicazione dei motivi.
Invero, menzionando una recente pronuncia (Cass. n. 25756/2014), la Suprema Corte ha rammentato che “il giudizio tributario è caratterizzato da un meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, ed avente un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente, con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo in primo grado”, sicché “ai fini della enunciazione dei motivi previsti a pena inammissibilità del ricorso dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 18, comma 2, lett. e), è sufficiente una enunciazione anche sommaria dei motivi stessi”.
Invero – ha specificato la Cassazione – “la sanzione dell’inammissibilità è connessa alla mancanza assoluta, ovvero all’assoluta incertezza”, ricorrendo quest’ultimo caso, allorquando “l’enunciazione del motivo, che non deve attingere un particolare livello di specificità, si presenti tale da non consentire l’individuazione del nucleo della censura rivolta all’atto impugnato”.
Nel caso in esame, sebbene in maniera sintetica, il contribuente aveva evidenziato le ragioni del ricorso evincibili, tra l’altro, nel fatto che le operazioni addebitate fossero da ritenere, invece, “pienamente giustificate“.
Alla luce di tali assunti, la Cassazione ha quindi accolto il suesposto motivo di ricorso ritenendo assorbiti gli altri e cassato la sentenza impugnata rinviandola ad altra sezione della CTR per provvedere anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.