Precedenza al calcolo quantitativo nella prevalenza
di Luigi ScappiniLa Corte di Cassazione con la sentenza n. 18071 del 21 luglio 2017 è tornata ad affrontare l’elemento centrale nell’esercizio delle attività agricole connesse: il calcolo della prevalenza nell’utilizzo di prodotti propri, offrendo un’interpretazione coerente con l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate.
Come noto, con la riforma del 2001, si è assistito a una ridefinizione dell’imprenditore agricolo e delle attività che può esercitare.
Per la parte qui di interesse, è stata ampliato e meglio definito il concetto di attività connesse, attività che si ricorda nascono come commerciali e che per una fictio iuris prevista dal Legislatore, nel momento in cui sono esercitate da un imprenditore agricolo e rispettano determinati parametri predefiniti si considerano connesse con tutte le conseguenze che ne derivano.
L’ampliamento concerne l’estensione della fictio iuris non solo alle attività cosiddette di prodotto, ossia quelle che utilizzano i prodotti ottenuti dalle lavorazioni agricole, ma anche a quelle di servizi, consentendo in tal modo un pieno utilizzo dei fattori produttivi dell’azienda.
La miglior definizione attiene all’introduzione di un parametro univoco ai fini della connessione dell’attività: la prevalenza.
Un’attività si considera connessa solamente quando viene esercitata utilizzando, nel caso che qui interessa, prevalentemente prodotti provenienti da un’attività agricola per natura (coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali).
La sentenza della Corte di Cassazione n. 18071 sul tema ha avuto modo di affermare come, “ai fini della verifica della prevalenza il profilo qualitativo è definito esclusivamente con riferimento alla provenienza dei prodotti, senza che assuma alcun rilievo la qualità e, quindi, il valore economico degli stessi, elementi completamente ignorati dal legislatore; quindi, per quanto riguarda il profilo quantitativo, il riferimento alla “metà” dei prodotti non consente una interpretazione diversa da quella riferibile al calcolo quantitativo, secondo l’unità di misura utilizzata per il prodotto in discussione, stante la assenza di criteri ulteriori e diversi che ricolleghino il concetto di metà, non già alla quantità, ma al valore”.
In altri termini, a parere dei Supremi giudici “nessun elemento normativo consente di ritenere che la prevalenza quantitativa del prodotto possa essere stimata mediante raffronto tra il valore economico dei prodotti utilizzati”.
L’interpretazione è lineare e, come anticipato, perfettamente allineata con la prassi amministrativa che si è occupata di analizzare le “nuove” attività connesse con due circolari, la 44/E/2002 e la 44/E/2004.
Con il documento di prassi del 2002, l’Agenzia delle Entrate aveva avuto modo di affermare, in linea con il precedente documento di prassi n. 9/1330 del 16 febbraio 1981, come “Per verificare tale condizione sarà necessario procedere ad un confronto in termini quantitativi fra i prodotti ottenuti dall’attività agricola principale ed i prodotti acquistati da terzi, confronto che potrà effettuarsi solo se riguarda beni appartenenti allo stesso comparto agronomico e della stessa specie”.
Successivamente, la circolare 44/E/2004, confermando quanto affermato nella precedente circolare del 2002, precisa, tuttavia, come nell’ipotesi in cui “l’imprenditore effettui acquisti di prodotti presso terzi al fine di un miglioramento della gamma dei beni offerti, non potendo confrontarsi quantità relative a beni di specie diversa (ad esempio, mele con pere, pomodori con cipolle) la condizione della prevalenza andrà verificata confrontando il valore normale dei prodotti agricoli ottenuti dall’attività agricola principale e il costo dei prodotti acquistati da terzi”.
Nel caso oggetto di analisi da parte dei Supremi giudici, l’attività connessa era quella di vinificazione e il contribuente procedeva all’acquisto di uve di minor valore con la conseguenza che ai fini del rispetto della prevalenza utilizzava il parametro del valore normale e non quello quantitativo che sarebbe risultato svantaggioso.
In ragione del quadro di insieme come sopra delineato la sentenza interpreta correttamente la norma, tuttavia, ci si domanda perché il Legislatore, quando ragiona in termini di cooperative agricole, individua compiutamente le modalità di calcolo della prevalenza e lo fa per di più in maniera alquanto buonista poiché l’articolo 2513, comma 3, cod. civ. stabilisce la sussistenza della condizione di prevalenza “quando la quantità o il valore dei prodotti conferiti dai soci è superiore al cinquanta per cento della quantità o del valore totale dei prodotti”.
Atteso il costante rimando del Legislatore fiscale alla disciplina civilistica, salvo quando espressamente prevede l’emanazione di un decreto per individuare i prodotti “connessi”, si potrebbe tentare di estendere l’alternatività prevista dall’articolo 2513, comma 3, cod. civ. anche all’imprenditore agricolo, tuttavia, sarebbe necessaria un’apertura dell’Agenzia delle Entrate in tal senso, con tutte le problematiche che ne deriverebbero.