Revoca della dichiarazione d’intento in caso di fatturazione differita
di Marco PeiroloIn caso di revoca della dichiarazione d’intento, intervenuta tra il momento di consegna del bene mobile e quello di emissione della fattura differita, è indispensabile chiedersi se quest’ultima debba contenere l’addebito dell’IVA.
In via preliminare all’esame degli effetti della revoca della dichiarazione d’intento, è opportuno rammentare che, per le operazioni da effettuare a partire dal 1° gennaio 2015, gli esportatori abituali che intendono compiere acquisti o importazioni di beni e servizi senza applicazione dell’IVA, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lett. c), del D.P.R. 633/1972, trasmettono telematicamente all’Agenzia delle Entrate la dichiarazione d’intento (articolo 1, comma 1, lett. c), del D.L. 746/1983). La dichiarazione, unitamente alla ricevuta di presentazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate, è consegnata al cedente o prestatore, ovvero in dogana.
Ai sensi dell’articolo 7, comma 4-bis, del D.Lgs. 471/1997, come modificato dall’articolo 15, comma 1, lett. g), del D.Lgs. 158/2015, è punito con la sanzione amministrativa da 250,00 a 2.000,00 euro il fornitore dell’esportatore abituale che effettui operazioni senza applicazione dell’IVA prima di avere ricevuto la dichiarazione d’intento dalla controparte e di avere riscontrato l’avvenuta presentazione telematica della stessa all’Agenzia delle Entrate.
Come, peraltro, specificato dalla risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 120/E/2016, particolare attenzione deve essere riservata alla verifica dell’importo complessivamente fatturato senza IVA dal soggetto che riceve la dichiarazione, che non deve mai eccedere quanto indicato nella dichiarazione d’intento. Qualora l’esportatore abituale, nel medesimo periodo di riferimento, voglia acquistare senza IVA per un importo superiore a quello inserito nella dichiarazione d’intento presentata deve produrne una nuova, indicando l’ulteriore ammontare fino a concorrenza del quale s’intende continuare ad utilizzare la facoltà di effettuare acquisti senza IVA.
Nella diversa situazione in cui la dichiarazione d’intento non sia stata emessa tout court, la sanzione non è più quella fissa (da 250,00 a 2.000,00 euro), ma quella proporzionale (dal 100 al 100% dell’imposta) prevista dall’articolo 7, comma 3, del D.Lgs. 471/1997 e resta fermo anche l’obbligo del pagamento del tributo da parte del fornitore; sicché, in definitiva, la sanzione fissa si applica quando la dichiarazione d’intento sia stata consegnata al cedente o prestatore, ovvero in dogana, successivamente all’effettuazione dell’operazione in regime di non imponibilità, mentre la sanzione proporzionale è irrogata in assenza di dichiarazione d’intento.
Specularmente, qualora siano effettuate operazioni senza addebito dell’imposta in mancanza dei presupposti richiesti dalla legge, ovvero oltre il limite del plafond disponibile, nei confronti dell’esportatore abituale si applica la sanzione prevista dall’articolo 7, comma 4, del D.Lgs. 471/1997 (dal 100 al 200% dell’imposta), oltre al recupero dell’imposta non assolta e degli interessi. In tal caso, è tuttavia possibile regolarizzare la violazione commessa secondo le modalità alternative da ultimo indicate nella risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 16/E/2017.
L’esportatore abituale può revocare la dichiarazione d’intento, senza che sia previsto a tal fine un modello specifico e un obbligo di comunicazione all’Agenzia delle Entrate.
Pare evidente che, a seguito della revoca, il cedente o prestatore debba emettere fattura con addebito dell’IVA, ma se per le operazioni soggette a fattura immediata, cioè entro le ore 24 del giorno di effettuazione della cessione o della prestazione, gli effetti dell’annullamento non presentano particolari criticità, non altrettanto può dirsi per le operazioni fatturate secondo le modalità previste dall’articolo 21, comma 4, lett. a), del D.P.R. 633/1972, vale a dire con fattura emessa entro il giorno 15 del mese successivo a quello di consegna o spedizione.
Almeno considerando l’esito della controversia risolta dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 5174 del 28 febbraio 2017, ove è stato affermato che, “qualora la dichiarazione venga revocata, l’effetto esonerativo cessa immediatamente – o quantomeno dal momento in cui essa è portata a conoscenza – e la fatturazione che venga emessa in un momento successivo deve necessariamente tenerne conto, restando l’intera operazione soggetta al regime ordinario.
Costituisce regola generale, del resto, che le operazioni economiche sono imponibili, sicché la mancanza di alcuna delle condizioni che legittimano il regime di esenzione comporta necessariamente la piena riattivazione della regola generale, non potendosi considerare logicamente estendibile – oltre che inammissibile, in quanto risultato di analogia – l’applicazione dei requisiti richiesti per la piena efficacia della dichiarazione d’intenti all’opposta situazione”.
Tale conclusione non appare del tutto convincente se, in caso di fatturazione differita, la revoca della dichiarazione d’intento è intervenuta tra il momento della consegna dei beni e quello dell’emissione della fattura, sol rilevando che, se l’emissione della fattura senza addebito d’imposta, ex articolo 8, comma 1, lett. c), del D.P.R. 633/1972, si riferisce alle operazioni effettuate successivamente al ricevimento della dichiarazione d’intento, a contrariis può ritenersi che, in caso di revoca della dichiarazione, ad essere assoggettate ad imposta sono soltanto le operazioni effettuate dopo l’annullamento.
In pratica, se sono state poste in essere cessioni di beni mobili con emissione di fattura differita, dal disposto degli articoli 6, comma 1, e 21, comma 4, lett. a), del D.P.R. 633/1972 si evince che il momento di effettuazione, anche in caso di emissione della fattura entro il giorno 15 del mese successivo a quello di consegna, resta “agganciato” alla consegna. Conseguentemente, l’operazione, anche se fatturata successivamente alla revoca della dichiarazione d’intento, beneficia ancora della non imponibilità, salvo ovviamente che la revoca sia dovuta al raggiungimento del limite del plafond, con ciò evitando la regolarizzazione postuma dello splafonamento.