27 Settembre 2017

Operazioni attive comunitarie di soggetti passivi non VIES

di EVOLUTION
Scarica in PDF
Nella disciplina degli scambi intracomunitari assume particolare rilievo il numero di identificazione dei soggetti passivi, la cui verifica va effettuata attraverso il VIES.
Al fine di approfondire i diversi aspetti della materia, è stata pubblicata in Dottryna, nella sezione “Iva”, una apposita Scheda di studio.
Il presente contributo analizza il trattamento delle operazioni attive comunitarie dei soggetti passivi non VIES, alla luce dell’orientamento della Corte di Giustizia.

In carenza di iscrizione nel VIES del soggetto passivo Iva la relazione illustrativa all’articolo 27, D.L. 78/2010 nonché le motivazioni ai Provvedimenti del 29/12/2010 parlano di “sospensione della soggettività attiva e passiva delle operazioni intracomunitarie”, ferma restando, invece, la piena operatività per le operazioni interne. Al riguardo la circolare AdE 4/E/2011 afferma (senza indugi) che “eventuali cessioni o prestazioni intracomunitarie effettuate da un soggetto passivo non ancora incluso nell’Archivio VIES (o escluso a seguito di diniego o revoca) devono ritenersi assoggettata ad imposizione in Italia” con conseguente applicazione delle sanzioni di cui all’articolo 6, D.Lgs. 471/1997 laddove all’operazione non sia stata, appunto, applicata l’Iva nazionale ma il trattamento (e quant’anche nel pieno rispetto) dell’articolo 41, D.L. 331/1993 (nel caso di cessioni di beni) e dell’articolo 7-ter, comma 1, lettera a), D.P.R. 633/1972 (nel caso di servizi resi).

La tesi sposata dall’Agenzia che dequalifica, alla stregua di operazioni interne, le operazioni intracomunitarie effettuate dai no VIES, non è pienamente convincente poiché oltre a non trovare riscontro in una puntuale disposizione normativa, contrasta palesemente con alcune disposizioni tanto nazionali quanto comunitarie (nonché, come vedremo, con l’impostazione sostanzialista della Giurisprudenza comunitaria).

Si elencano, in estrema sintesi, i principali contrasti, partendo da quelli normativi (solo in parte attenuati dalle novità sull’attivazione istantanea in vigore dal 15/12/2014):

  • articolo 18, par.1/b, del Regolamento UE n.282/2011 che prevede come il prestatore comunitario possa/debba considerare il committente un soggetto passivo ai fini dell’applicazione dell’articolo 44 e 196 della Direttiva 2006/112/CE (reverse charge per i servizi generali) laddove questi, ancorché non abbia ancora ricevuto un numero individuale di identificazione Iva, lo informi che ne ha fatto richiesta, e fornisca una prova alternativa;
  • articolo 16 del Regolamento UE n.282/2011 (già articolo 21 del Regolamento (CE) n.1777/2005), laddove viene precisato che “lo Stato membro di arrivo della spedizione o del trasporto dei beni nel quale è effettuato un acquisto intracomunitario … esercita il proprio potere impositivo indipendentemente dal trattamento Iva applicato all’operazione nello Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto dei beni” (vale a dire che se la cessione è stata assoggettata ad Iva nel Paese di partenza, ciò non influisce sulla assoggettabilità dell’imposta nel Paese di arrivo);
  • articolo 2 della Direttiva 2006/112/CE, laddove viene definito “acquisto intracomunitario di beni” l’acquisto effettuato a titolo oneroso nel territorio dello Stato membro da un soggetto passivo “che agisce in quanto tale” quando il venditore è un soggetto passivo “che agisce in quanto tale”.

Si osservi che quest’ultima disposizione (l’articolo 2 della Direttiva) risulta derogata solo nelle seguenti situazioni:

  • dall’articolo 2 stesso, nella parte in cui introduce un’eccezione alla definizione di cui sopra (cioè non si tratta di acquisto intracomunitario) per la fornitura eseguita da un venditore che beneficia della franchigia per le piccole imprese nel proprio Stato (in tal senso, nella normativa domestica, l’articolo 38, comma 5, lettera d),L. 331/1993);
  • nell’articolo 3 §1, lettera b), 2 e § 3 della Direttiva con riguardo agli acquisti dei c.d. “esenti totali”, degli agricoltori in regime di esonero o forfettario e degli enti non soggetti passivi che, nel limite degli acquisti “sotto soglia”, salvo opzione, pagano l’Iva nel Paese del fornitore (a livello domestico articolo 38, comma 5, lettera c) e comma 6, D.L. 331/1993; a tale disciplina vale il rinvio, dal 2015, anche per il nuovo regime forfettario di cui all’articolo 1, cc 54-89, L. 190/2014). La tesi sostenuta dall’Agenzia delle Entrate (ante 15/12/2014) della sospensione della soggettività intracomunitaria nei 30 gg di “istruttoria”, cozzava, peraltro, con tale disciplina che obbliga, fin da subito, gli enti non soggetti passivi ad assolvere l’Iva in Italia nel caso di acquisto intracomunitario di beni che determina il superamento della soglia di € 10.000.

Per quanto riguarda i servizi, poi, l’articolo 2 della Direttiva prevede l’assoggettamento ad Iva delle “prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale”, senza introdurre distinzioni fra prestatore ordinario e prestatore in franchigia.

Distinzione che è stata, invece, operata dalla prassi dell’Agenzia per il regime dei minimi (e il regime fiscale di vantaggio) ma che risulta, invece, superata dalla legge di stabilità 2015 per il nuovo regime forfettario (articolo 1, cc 54-89, L. 190/2014). Per le prestazioni “generali”, poi, nei rapporti B2B fra operatori stabiliti in Stati diversi, trovano applicazione le regole del reverse charge sulla base di quanto previsto dal combinato disposto dell’articolo 44 e 196 della Direttiva (articolo 7-ter, comma 1, lettera a) e articolo 17, comma 2, D.P.R. 633/1972) e di quanto precisato negli articoli 18 e 19 del Regolamento UE n.282/E/2011 in merito alle verifiche del prestatore sullo status e qualità del destinatario.

A tal riguardo, ancorché la vicenda riguardi un’operazione interna, pare utile segnalare l’approccio sostanzialista che emerge dagli insegnamenti della sentenza della Corte di Giustizia del 6/9/2012 in causa C-324/11 (§ 30 e 31) secondo cui la nozione di soggetto passivo (operatore economico) contenuta nell’articolo 9 della Direttiva 2006/112/CE è molto ampia e tale status non dipende da qualsivoglia autorizzazione o licenza concessa dall’amministrazione ai fini dell’esercizio dell’attività. L’obbligo di cui all’articolo 213 di dichiarare l’inizio, il cambiamento, e la cessazione della propria attività in qualità di soggetto passivo non può, inoltre, costituire una condizione supplementare richiesta ai fini dello status di soggetto passivo Iva.

L’indirizzo sostanzialista della Corte di Giustizia è stato confermato dalla sentenza C-21/16 secondo cui “L’articolo 131 e l’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, devono essere interpretati nel senso che ostano a che l’amministrazione tributaria di uno Stato membro neghi l’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto di una cessione intracomunitaria per il solo motivo che, al momento di tale cessione, l’acquirente, domiciliato sul territorio dello Stato membro di destinazione e titolare di un numero di identificazione di imposta sul valore aggiunto valido per le operazioni in tale Stato, non è iscritto al sistema di scambio di informazioni in materia di imposta sul valore aggiunto e non è assoggettato ad un regime di tassazione degli acquisti intracomunitari, allorché non esiste alcun serio indizio che lasci supporre l’esistenza di una frode ed è dimostrato che sono soddisfatte le condizioni sostanziali dell’esenzione”.

Nella Scheda di studio pubblicata su Dottryna sono approfonditi, tra gli altri, i seguenti aspetti:

Iva nazionale ed estera