18 Ottobre 2017

I versamenti sul conto del socio rettificano il reddito della società

di Marco Bargagli
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La normativa sostanziale di riferimento in tema di indagini finanziarie è contenuta, ai fini delle imposte sui redditi, nell’articolo articolo 32, primo comma, n. 2 del D.P.R. 600/1973.

In particolare, a livello operativo:

  • i versamenti non giustificati transitati sui conti correnti del contribuente rettificano in aumento la base imponibile, come maggiori elementi positivi di reddito;
  • i prelevamenti effettuati non risultanti dalle scritture contabili, se non viene indicato il beneficiario delle somme, si considerano maggiori ricavi o compensi con simmetrica rettifica del reddito.

Con specifico riferimento ai prelievi bancari non giustificati, il D.L. 193/2016 convertito, con modificazioni, dalla Legge 225/2016, ha previsto che: “sono altresì posti come ricavi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori a euro 1.000 giornalieri e, comunque, a euro 5.000 mensili”.

Quindi, con decorrenza 3 dicembre 2016:

  • é stata abrogata la presunzione legale relativa ai prelevamenti non giustificati a carico dei professionisti;
  • unicamente a carico delle imprese, con riguardo ai prelievi di importo superiore a 1.000 euro giornalieri e a 000 euro mensili, opera ancora la presunzione di evasione fiscale [art. 32, comma 1, n. 2), del D.P.R. 600/1973].

Ai fini Iva, ai sensi dell’articolo 51, secondo comma, n. 2 del D.P.R. 633/1972:

  • i versamenti transitati sui conti correnti sono considerati, qualora non giustificati da parte del contribuente, cessioni di beni e/o prestazioni di servizio senza l’emissione della prescritta fattura (ipotesi di vendite in nero);
  • i prelevamenti, sono considerati “acquisti senza fattura”, a meno che il contribuente non dimostri di averne tenuto conto nelle dichiarazioni, ovvero che non si riferiscono ad operazioni imponibili.

Sul tema delle indagini finanziarie, con l’ordinanza n. 21424 depositata in data 15 settembre 2017, la suprema Corte di cassazione si è espressa sulla rilevanza fiscale dei versamenti non giustificati da parte dei soci, sui conti correnti a loro intestati, con particolare riferimento alla rettifica in aumento del reddito in capo alla società di cui fanno parte.

Sulla base di un costante orientamento espresso dalla giurisprudenza (cfr. ex multis Corte di cassazione, sentenza n. 8112 del 22 aprile 2016), in sede di rettifica e di accertamento d’ufficio delle imposte sui redditi, l’utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito, non può ritenersi limitata, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati all’ente.

Quindi, si potranno utilizzare anche dati e notizie risultanti dai conti intestati ai soci, agli amministratori o ai procuratori generali, qualora risulti provata dall’Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati, senza la necessità di provare che tutte le movimentazioni di tali rapporti rispecchino operazioni aziendali, tenuto conto che sulla base delle disposizioni attualmente vigenti incombe sul contribuente dimostrarne l’estraneità alla propria attività di impresa.

In buona sostanza, secondo gli ermellini, l’Ufficio finanziario può valorizzare dati e notizie risultanti non solo dai depositi bancari intestati alla società, ma anche da quelli scaturenti dai conti correnti intestati ai soci, a condizione che sia dimostrata la natura fittizia del rapporto bancario.

Sul medesimo solco interpretativo, si cita la sentenza n. 355/45/2016 emessa dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, nella quale il giudice ha affermato che in tema di accertamento l’Ufficio finanziario può utilizzare, nell’esercizio dei poteri attribuiti dalla Legge, le risultanze dei conti correnti bancari intestati ai soci riconducendo alla medesima società le operazioni ivi riscontrate, tenuto conto che si può presumere, salvo facoltà di provare la diversa origine delle entrate, la sostanziale sovrapposizione degli interessi personali e societari, nonché identificare in concreto gli interessi economici perseguiti dalla società con quelli stessi dei soci (cfr. Corte di cassazione, sentenza n. 6595 del 15 marzo 2013).

Infatti, come anche affermato dalla Corte di cassazione, nella successiva sentenza n. 20668 del 1 ottobre 2014, tali rapporti di contiguità rappresentano elementi indiziari che assumono consistenza di prova presuntiva legale ove il soggetto formalmente titolare del conto non sia in grado di fornire indicazioni sulle somme prelevate o versate e non disponga di proventi diversi o ulteriori rispetto a quelli derivanti dall’esercizio dell’attività imprenditoriale.

Illeciti finanziari correlati all’evasione fiscale