Omessa registrazione dei contratti sanabile con effetti “ex tunc”
di Enrico FerraIn tema di locazione immobiliare, la mancata registrazione del contratto costituisce una invalidità sanzionabile con la nullità, per violazione delle norme imperative ex articolo 1418 del codice civile, la quale, in ragione della sua atipicità desumibile dal complessivo impianto normativo, è sanabile con effetti retroattivi mediante la tardiva registrazione del contratto stesso.
Ciò è quanto ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 20858 depositata il 6 settembre 2017, che conferma l’orientamento espresso in altre precedenti pronunce.
Le disposizioni in materia di registrazione dei contratti di locazione immobiliare hanno subito negli anni molteplici modifiche che hanno reso oltremodo complesso il quadro normativo. La norma di riferimento è rappresentata dall’articolo 1, comma 346, della L. 311/2004, secondo la quale “i contratti di locazione […] di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati”.
Oltre a ciò va ricordato, peraltro, che vi è un’ulteriore disposizione, contenuta nell’articolo 1, comma 4, della L. 431/1998, che contempla la forma scritta ai fini della validità dei contratti di locazione.
Tali norme sono state oggetto di molte censure nel corso del tempo, in particolar modo perché ritenute in contrasto con il principio (di rilevanza costituzionale) contenuto nell’ultimo periodo del comma 3 dell’articolo 10 dello Statuto del Contribuente, in base al quale “le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto”.
Con particolare riferimento ai contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, le disposizioni normative sono poi diventate particolarmente stringenti a seguito delle modifiche apportate dai commi 8 e 9 dell’articolo 3 del D.Lgs. 23/2011 (in materia di cedolare secca sugli affitti), che hanno introdotto specifici “paletti” nei casi di registrazione tardiva.
In particolare, al comma 8 è stato previsto che in riferimento ai contratti di locazione degli immobili ad uso abitativo non registrati entro il termine stabilito dalla legge:
- la durata è fissata in quattro anni a decorrere dalla data di registrazione;
- il rinnovo avviene per un periodo di quattro anni, salvo alcuni casi specifici;
- il canone annuo viene rideterminato d’ufficio a decorrere dalla data di registrazione e stabilito in misura pari al triplo della rendita catastale.
Il successivo comma 9 ha poi esteso la sanzione della nullità – con la conseguente riqualificazione disposta al comma 8 – anche ai casi di registrazione di contratti di comodato fittizi e di indicazione nel contratto di locazione registrato di un canone inferiore a quello effettivo.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 50 del 14 marzo 2015, ha però dichiarato l’illegittimità costituzionale per difetto di delega delle disposizioni contenute nei commi 8 e 9 dell’articolo 3 del D.Lgs. 23/2011, facendo salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti fino al 31 dicembre 2015. Nei giudizi di legittimità costituzionale era stato fatto notare, peraltro, che le disposizioni restrittive contenute nel D.Lgs. 23/2011, sostituendo il canone pattuito con la misura irrisoria stabilita dalla legge, avrebbero determinato, da un lato, una riduzione del gettito sia ai fini Irpef che ai fini dell’imposta di registro e, dall’altro, una irragionevole disparità di trattamento tra conduttore e locatore, in quanto la sanzione sarebbe stata inflitta al solo locatore, mentre il conduttore avrebbe beneficiato della riduzione del canone.
Il caso esaminato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 20858 riguarda proprio la corretta interpretazione delle disposizioni contenute nel D.Lgs. 23/2011: nell’ambito di una controversia relativa al rilascio di un immobile, i soggetti chiamati in giudizio deducevano infatti l’esistenza di un contratto di locazione per esigenze abitative transitorie stipulato a decorrere dal 1° dicembre 2007 ma registrato solo nel gennaio 2014; sulla base di quanto previsto nel citato decreto legislativo, chiedevano quindi al tribunale di accertare che il contratto era regolato dalle disposizioni contenute nell’articolo 3, comma 8, del D.Lgs. 23/2011 e, per l’effetto, disporre la nullità dello stesso applicando dal gennaio 2014 il canone ridotto, pari al triplo della rendita catastale.
Il giudice di primo grado aveva ritenuto nullo (in quanto non registrato) il contratto di locazione originariamente stipulato dalle parti, affermando che la registrazione operata dal conduttore nel 2014 andasse riferita ad un diverso contratto, a sua volta nullo in quanto verbale. La corte di appello aveva dichiarato, invece, la sussistenza di una locazione abitativa ordinaria fin dal 1° dicembre 2007 individuando un unico contratto (seppur non registrato) e ritenendo che la registrazione tardiva del contratto di locazione originariamente stipulato dalle parti non fosse di ostacolo all’accertamento della sua validità.
L’interpretazione dei giudici di legittimità è conforme alla decisione assunta dalla corte di appello: in tema di locazione immobiliare, secondo la Corte, la mancata registrazione del contratto determina, ai sensi della L. 311/2004, una nullità sanabile con effetti “ex tunc” (vale a dire, retroattivamente) dalla tardiva registrazione del contratto stesso e ciò in coerenza con le forme di sanatoria previste dalla normativa tributaria in tema di ravvedimento operoso. Ciò consente di salvare gli effetti negoziali voluti dalle parti e, nel contempo, di riaffermare il principio di non interferenza della normativa tributaria con gli effetti civilistici del contratto.