Onere della prova tra inerenza e congruità
di Marco BargagliL’articolo 109 del D.P.R. 917/1986 prevede che i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi concorrono a formare il reddito d’impresa nell’esercizio di competenza; tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni (trattasi, come noto, dei famosi principi di competenza, certezza ed obiettiva determinabilità).
Sotto il profilo dell’inerenza, le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi.
Sulla base di un consolidato filone giurisprudenziale, l’onere di provare l’inerenza del costo grava sul contribuente cui spetta anche provare la congruità economica della spesa, qualora questa sia contestata da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Tale interpretazione è stata confermata dalla suprema Corte di Cassazione, sezione VI civile con l’ordinanza n. 19875 depositata in data 9 agosto 2017 nella quale, è stato ribadito che i presupposti per la deducibilità dal reddito di impresa dei costi e degli altri oneri, grava sul contribuente.
In particolare, nella decisione assunta dai supremi giudici di legittimità, viene posto in evidenza che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’onere della prova dei presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, incombe sul contribuente.
Inoltre, tenuto conto che l’Amministrazione finanziaria nel corso di una verifica fiscale può sindacare la congruità dei componenti reddituali iscritti in bilancio, l’onere della prova a carico del soggetto passivo si estende anche alla valutazione della coerenza dei costi sostenuti, in relazione ai ricavi conseguiti dall’impresa.
Tale ulteriore onere posto a carico del contribuente, come si legge nella sentenza, deriva da una precisa considerazione: “poiché nei poteri dell’Amministrazione finanziaria in sede di accertamento rientra la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, con negazione della deducibilità di parte di un costo proporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa, l’onere della prova dell’inerenza dei costi gravante sul contribuente, ha ad oggetto anche la congruità dei medesimi omissis.. da ultimo, Cass. sez. 5, n. 19537/16, che ha cassato la sentenza con la quale il giudice tributario si era limitato a fondare l’inerenza del costo sul mero collegamento all’attività produttiva (i costi sarebbero rilevanti per il sol fatto di risultare dai verbali del consiglio di amministrazione della contribuente)”.
Ciò posto, nel caso oggetto della recente ordinanza, gli ermellini hanno accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.
Infatti, il giudice d’appello si era limitato a rilevare l’esistenza di “fatture ampiamente documentate, emesse da società di capitali… regolarmente inserite nelle proprie contabilità aziendali… che svolgevano una effettiva attività”, aggiungendo che le fatture annotata in contabilità avrebbero avuto la qualifica di costi documentati in quanto risultavano regolarmente rifatturate (in relazione a determinate prestazioni rese), sottolineando altresì che le tesi dell’Amministrazione non erano “supportate da idonea prova fattuale”.
Di contro, secondo la Corte di Cassazione, il giudice del gravame non avrebbe rispettato il richiamato principio in base al quale è onere del contribuente fornire la piena prova della esistenza, certezza, congruenza ed inerenza dei costi che intende dedurre, tenendo conto delle specifiche contestazioni dell’Ufficio.
Tale interpretazione sembra discostarsi dall’approccio ermeneutico espresso sempre dagli ermellini nella sentenza n. 6656, depositata in data 6 aprile 2016, ove i giudici hanno precisato che, in ambito internazionale, grava sull’Amministrazione l’onere di dimostrare che un’operazione antieconomica realizzata mediante transazioni effettuate con una società controllata o controllante estera, sia riferibile ad un maggiore reddito imponibile.
Quindi, in tale circostanza, l’onere di dimostrare che un’operazione economica realizzata all’estero, con una società controllata o controllante costituisce un maggior reddito imponibile, è posto a carico dell’Amministrazione finanziaria.