Perché le ASD non rientrano nel Codice del Terzo Settore?
di Guido MartinelliMarta SaccaroIn conseguenza dell’entrata in vigore del D.Lgs. 117/2017 (Codice del Terzo Settore) e della riforma che ha interessato le organizzazioni appartenenti al cosiddetto Terzo Settore è il caso di fare chiarezza su una questione che sta agitando gli animi di alcuni commentatori: le associazioni sportive dilettantistiche rientrano o meno nel Codice del Terzo Settore?
La risposta, diciamolo subito, è no e vediamo perché.
Il D.Lgs. 111/2017 che disciplina l’istituto del cinque per mille ha espressamente suddiviso, al proprio articolo tre, tra i destinatari del riparto di detto contributo, alla lettera “A”, gli enti del terzo settore di cui alla L. 106/2016 e, alla lettera “E”, le associazioni sportive dilettantistiche riconosciute ai fini sportivi dal CONI.
Pertanto non vi è dubbio che la scelta sia stata di non ricomprendere le sportive tra i soggetti facenti parte a pieno titolo del terzo settore.
Ma è altrettanto vero che, invece, sotto il profilo oggettivo, “l’organizzazione e gestione di attività sportiva dilettantistica” è una delle attività di interesse generale previste per gli enti del terzo settore, ivi comprese le imprese sociali.
Ciò porta a ritenere che un ente del terzo settore “possa” fare attività sportiva dilettantistica ma che una associazione sportiva dilettantistica, come tale, non faccia parte del terzo settore.
Essendo il CONI, l’unico certificatore dell’effettivo svolgimento di attività sportiva dilettantistica (vedi articolo 7 L. 27.07.2004 n. 186), non vi è dubbio che dovrà “anche” ottenere il riconoscimento ai fini sportivi attraverso l’iscrizione al registro CONI delle associazioni e società sportive dilettantistiche (rispettandone pertanto i requisiti di accesso), ma lo farà “mantenendo” la sua natura di ente del terzo settore.
Va quindi ricordato che sono le associazioni sportive dilettantistiche i soggetti a cui fanno riferimento le disposizioni fiscali del Tuir: segnatamente l’articolo 67, comma 1, lettera m), e l’articolo 148, comma 3 e seguenti del Tuir, ma anche l’articolo 25 della L. 133/1999 e, non da ultimo, l’articolo 4, comma 4 e seguenti del D.P.R. 633/1972, oltre che la L. 398/1991.
Tutte queste disposizioni non si modificano per le associazioni sportive dilettantistiche a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 117/2017. In pratica, la normativa previgente per i sodalizi dilettantistici rimane inalterata.
Ma, ed è questo il tema in discussione, un ente del terzo settore che svolga o intenda svolgere attività sportive dilettantistiche, potrà continuare ad utilizzare tali norme?
La risposta purtroppo è negativa, almeno allo stato attuale, in assenza di interpretazioni diverse da parte della Agenzia delle Entrate.
Infatti, ai sensi del primo comma dell’articolo 79 del CTS, per gli enti oggetto della riforma trovano applicazione le norme del Testo unico delle imposte sui redditi solo “in quanto compatibili”.
L’articolo 89, primo comma, lett. c), del CTS prevede espressamente che agli enti del terzo settore non si applichi la L. 398/1991. Non vi è dubbio che detta previsione si applichi espressamente nei confronti degli enti del terzo settore che pratichino attività sportive in quanto, altrimenti, sarebbe stata sufficiente la previsione dell’articolo 102, comma 2, lett. e), che abroga l’articolo 9-bis del D.L. 417/1991 che ha esteso l’applicazione della citata L. 398/1991 a tutti gli enti senza scopo di lucro.
Analogamente, per gli enti del terzo settore che pratichino attività sportive, non potrà trovare applicazione l’articolo 149 del Tuir (espressamente derogato dall’articolo 89, comma 1, lett. a) del CTS), ma si dovranno applicare i criteri di perdita della natura di ente non commerciale espressamente previsti dal codice.
Con ogni probabilità si dovrà ritenere non applicabile, agli ETS “sportivi” anche la disciplina sui compensi di cui all’articolo 67, primo comma, lett. m, del Tuir, in quanto in contrasto con l’articolo 16 del CTS, laddove viene previsto che i lavoratori di detti enti debbano avere condizioni normative non inferiori a quelle previste dai contratti collettivi di lavoro. L’assenza di copertura previdenziale e assicurativa su tali compensi li pone sicuramente su un gradino inferiore a quello previsto dai CCNL esistenti.
È quindi legittimo che un ente che svolge questa attività decida di:
- assumere la denominazione di ETS (e non più solo ASD);
- iscriversi nel registro Unico del Terzo Settore (diventando quindi a questo punto rilevante l’iscrizione nel registro CONI solo ai fini del riconoscimento della attività sportiva svolta), all’interno di una delle categorie “tipizzate” (che, ricordiamo, sono quelle di ODV, APS, enti filantropici, imprese sociali, reti associative, società di mutuo soccorso ed enti “residuali”);
- applicare il regime fiscale di cui all’articolo 79 del D.Lgs. 117/2017 e, solo se si configura come APS o ODV, quello forfettario di cui all’articolo 86 del Codice (e non più quello della L. 398/1991).
Per esemplificare, quindi, una volta che le nuove disposizioni saranno pienamente operative potrà esistere un’associazione che decide di iscriversi al Registro Unico del Terzo Settore come APS e svolgere attività nel settore dello “sport dilettantistico”. Questo soggetto potrà beneficiare delle agevolazioni fiscali riservate dal Codice alle APS (tra cui la decommercializzazione dei servizi resi dietro corrispettivo a soci o familiari) e, se crede, determinare il reddito d’impresa applicando una tassazione a forfait, se i ricavi stanno al di sotto del limite di 130.000 euro all’anno. In ogni caso però non potrà mai qualificarsi come associazione sportiva dilettantistica (o meglio, sarà una qualifica irrilevante), perché questa definizione – e tutta la normativa ad essa collegata – non trova una sua propria identità all’interno delle disposizioni del Codice del Terzo Settore.
È molto importante fare chiarezza sul punto, per consentire agli enti di valutare con precisione la propria posizione e decidere, se del caso, di porre in essere tutti gli adempimenti necessari per collocarsi all’interno dell’uno o dell’altro dei grandi raggruppamenti (ETS o ASD) che si verranno a formare a seguito dell’entrata in vigore della riforma. La valutazione, in questo caso, non può prescindere da un’analisi approfondita del diverso trattamento fiscale applicabile nell’uno e nell’altro caso.
Ciò che non si può permettere, però, è la confusione tra le due fattispecie. Per cui, in conclusione, ribadiamo con maggiore vigore che le ASD non rientrano affatto nel Codice del Terzo Settore per espressa scelta operata dal legislatore.