Il concetto di autonoma organizzazione ai fini Irap
di EVOLUTIONIn relazione all’accezione “autonomamente organizzata” a cui fa riferimento l’articolo 2 del decreto Irap, agli albori dell’introduzione dell’imposta, il Ministero delle finanze, con la circolare 141/1998, ha avuto modo di precisare che “l’obiettivo che il legislatore ha inteso perseguire è quello di escludere dall’ambito di applicazione del tributo tutte quelle attività che, pur potendosi astrattamente ricondurre all’esercizio d’impresa, di arti o professioni, non sono tuttavia esercitate mediante un’organizzazione autonoma da parte del soggetto interessato”.
Successivamente, la Corte Costituzionale, con la storica sentenza n. 156/2001, ai fini dell’effettiva debenza del tributo da parte dei professionisti, ha di fatto introdotto la necessità di verificare di volta in volta l’integrazione del requisito dell’autonoma organizzazione nello svolgimento dell’attività di lavoro autonomo. Nell’occasione, la Corte ha sostenuto che “mentre l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l’attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui”.
A seguito di tale pronuncia, la Corte di Cassazione ha sposato l’orientamento secondo cui l’autonoma organizzazione costituisce presupposto per l’assoggettamento a Irap degli esercenti arti e professioni (per tutte si veda la sentenza n. 21203/2004); orientamento poi avvallato anche dall’Agenzia delle Entrate nella circolare 45/E/2008.
In seguito, sulla scorta dell’ulteriore principio che si è andato ad affermare nel tempo, secondo cui non è la oggettiva natura dell’attività svolta ad essere alla base dell’imposta bensì il modo – autonoma organizzazione – con cui la stessa è svolta (Corte di Cassazione SS.UU. sentenza n. 12108/2009, n. 12109/2009, n. 12110/2009), il filone interpretativo che aveva riguardato solo i professionisti ha finito per coinvolgere anche, dapprima, le figure dell’agente di commercio e del promotore finanziario e, poi, il piccolo imprenditore in genere (si veda le sentenze dalla Cassazione n. 21122/2010, n. 21123/2010 e n. 21124/2010).
Sintetizzando i vari pronunciamenti che si sono succeduti nel tempo, la Suprema Corte ha affermato che l’attività autonomamente organizzata sussiste tutte le volte in cui il contribuente che eserciti l’attività di lavoro autonomo:
- sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;
- impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che costituiscono il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione;
- si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.
Se i primi due aspetti possono considerarsi tutt’oggi invariati, lo stesso non può dirsi dell’ultimo, con riferimento al quale, sembra oramai “accettato” dalla giurisprudenza di legittimità che l’impiego stabile di un solo collaboratore con mansioni esecutive non sia di per sé idoneo a configurare un’autonoma organizzazione.
Quanto detto ha valenza anche per i piccoli imprenditori.
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