Reverse charge, split payment e dichiarazione d’intento
di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi TributariL’eventuale prevalenza del regime dello split payment comporta il venir meno delle dichiarazioni d’intento rilasciate dall’esportatore abituale. Come noto, a partire dal 1° luglio scorso sono state incluse nel perimetro dei soggetti destinatari dell’applicazione del regime di split payment anche le società commerciali (partecipate da enti pubblici o quotate al FTSE MIB) che potrebbero rivestire lo status di esportatore abituale. È bene ricordare che, in merito agli adempimenti previsti in capo ai soggetti obbligati all’applicazione dello split payment che agiscono nell’esercizio di un’attività commerciale (sempre presente per le società commerciali incluse negli elenchi), l’articolo 5, comma 1, del decreto 23 gennaio 2015 (come modificato dal decreto 27 giugno 2017) consente agli stessi di neutralizzare l’imposta annotando la fattura sia nel registro delle fatture emesse sia in quello degli acquisti, ottenendo in tal modo lo stesso risultato finale che si raggiunge con l’inversione contabile.
Premesso ciò, per le società si pone la questione se gli acquisti di beni e servizi, previo rilascio della dichiarazione d’intento, siano soggetti al regime di non imponibilità di cui all’articolo 8, lett. c), del D.P.R. 633/1972, ovvero se per gli stessi si debba applicare il regime di split payment, pur tenendo conto che tale regime non si rende applicabile in linea generale per le operazioni non imponibili (nonché per quelle esenti o escluse). In passato, l’Agenzia delle Entrate (circolare 14/E/2015 e circolare 37/E/2015) ha affrontato tale questione in merito al rapporto tra reverse charge e operazioni non imponibili, precisando che l’inversione contabile prevale rispetto alla dichiarazione d’intento, fermo restando che per le operazioni oggettivamente non imponibili (ad esempio quelle di cui all’articolo 8, lett. a) e b), del D.P.R. 633/1972) il reverse charge non è mai applicabile. In altre parole, l’Amministrazione finanziaria distingue tra:
- operazioni “soggettivamente” non imponibili richieste dall’esportatore abituale, per le quali si applica il reverse charge;
- operazioni “oggettivamente” non imponibili, per le quali resta ferma l’applicazione del regime di non imponibilità.
Tenendo conto della finalità anti frode dello split payment, al pari di quanto già previsto per il reverse charge, si potrebbe sostenere che l’Agenzia delle Entrate possa prevedere che in presenza di operazioni soggette allo split payment lo stesso prevalga rispetto al regime di non imponibilità soggettiva. Tuttavia, mentre le operazioni in regime di inversione contabile sono “oggettive”, con la conseguenza che l’esportatore abituale potrà utilizzare il plafond non speso con il fornitore che fattura con il regime di inversione contabile per acquistare altri beni e servizi, l’applicazione del regime di split payment è soggettiva. In tale ultima ipotesi, infatti, se il soggetto rientra tra quelli destinatari dell’articolo 17-ter (inclusi nelle liste pubblicate sul sito del MEF) acquista tutti i beni ed i servizi con tale regime (ad eccezione delle operazioni espressamente escluse) con conseguente venir meno dell’utilità delle dichiarazioni d’intento rilasciate ai propri fornitori. Come detto in precedenza, infatti, l’imposta sugli acquisti in regime di split payment può essere neutralizzata dalle società con la doppia registrazione ai fini Iva (registro vendite e registro acquisti), ottenendo in tal modo lo stesso risultato dell’acquisto con dichiarazione d’intento. Tale conclusione, se avallata dall’Amministrazione finanziaria, eliminerebbe in capo all’esportatore abituale tutti gli adempimenti connessi con la gestione delle dichiarazioni d’intento (invio al fornitore e comunicazione telematica all’Amministrazione finanziaria) e le eventuali conseguenze negative in caso di “splafonamento”. Pur considerando che l’ambito soggettivo delle imprese destinatarie delle disposizioni in materia di split payment e che nel contempo rivestono la qualifica di esportatore abituale è certamente limitata, è auspicabile un intervento da parte dell’Agenzia delle Entrate.