Accertamento basato sulla documentazione extracontabile
di Marco BargagliNel corso di una verifica fiscale, nell’ambito degli ordinari poteri riservati agli uffici finanziari, accanto alle risultanze derivanti dall’esame della documentazione contabile, è possibile acquisire dati e notizie anche di natura extracontabile.
L’accesso ha infatti, tra le sue principali finalità, l’acquisizione della documentazione sia di natura contabile che extracontabile, sulla quale espletare gli approfondimenti necessari per lo svolgimento dell’attività ispettiva. Tale acquisizione può avvenire o attraverso la spontanea esibizione da parte del contribuente ovvero tramite attività svolte personalmente dai verificatori, volte al materiale reperimento della stessa (Cfr. circolare 1/2008 del Comando Generale della GDF, volume 1, pagina n. 90).
In ordine alla documentazione acquisita riguardante soggetti terzi è possibile che, nel corso delle ricerche effettuate presso la sede o il domicilio di un certo contribuente, vengano rinvenuti libri, registri, scritture ed altri documenti, ivi compresa documentazione extracontabile, relativi ad altre attività riconducibili allo stesso soggetto nei cui riguardi viene svolto l’accesso, ovvero ad altre attività riconducibili a terzi.
In entrambi i casi, la giurisprudenza di legittimità (cfr. ex multis Corte di Cassazione, sentenza n. 17420 depositata in data 30 agosto 2016) ha riconosciuto che è possibile acquisire la documentazione relativa all’attività o al contribuente diversi da quelli cui si riferiscono i provvedimenti che autorizzano l’accesso, ferma restando, per l’eventualità in cui si intenda sottoporre ad ispezione detta documentazione, il formale e distinto avvio di un’autonoma attività ispettiva nei riguardi dell’attività o del soggetto cui la stessa è riconducibile (Cfr. circolare 1/2008 del Comando Generale della GDF, volume 2, pagina n. 32).
Con specifico riferimento alla rilevanza tributaria della documentazione extracontabile (es. file informatici, appunti manoscritti, brogliacci, quaderni etc.), si è recentemente espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14992 pubblicata in data 16 giugno 2017, la quale ha confermato la legittimità della pretesa tributaria in relazione ai “compensi in nero” percepiti dal contribuente, risultanti dalla documentazione extracontabile.
In particolare, nella sentenza in rassegna, si legge che il giudice d’appello aveva rilevato che dal verbale di constatazione redatto in sede di verifica si riscontrava il ritrovamento, presso la sede della società verificata, di “appunti manoscritti, copia del libretto di risparmio etc.” ove erano state contabilizzate operazioni “in nero” e pagamenti “in nero” effettuati nei confronti di un determinato soggetto economico.
A parere del giudice tributario, gli indizi forniti dall’ufficio, prevalentemente di natura extracontabile, possedevano i requisiti di gravità precisione e concordanza, con conseguente onere della prova a carico del contribuente, che doveva provare che gli stessi non si riferivano a compensi percepiti in “evasione di imposta”.
Sul punto gli ermellini hanno sottolineato che, sulla base della constante giurisprudenza, nell’accertamento delle imposte sui redditi, l’articolo 39, primo comma, lett. c), del D.P.R. 600/1973 consente di procedere alla rettifica del reddito anche quando l’incompletezza della dichiarazione risulta dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti, da cui derivino presunzioni semplici, desumibili anche dalla documentazione extracontabile ed in particolare dalla c.d. “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore.
Infatti, prosegue la Corte, tra le scritture contabili disciplinate dagli articoli 2709 e ss. del codice civile si ricomprendono anche tutti i documenti che registrano, in termini qualitativi e monetari, singoli atti d’impresa, ovvero rappresentano la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta (cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 2094/2014, che ha affrontato la fattispecie relativa ad un accertamento fondato sulla documentazione extracontabile di altro contribuente, reperita in sede di verifica nei confronti di quest’ultimo e Corte di Cassazione, sentenza n. 9210/2011).
Appare quindi evidente che, sulla base dell’approccio ermeneutico espresso in sede di legittimità, la c.d. “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza con conseguente accertamento induttivo a carico del contribuente che non riesce a fornire idonea prova contraria (cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 24052/2011 e sentenza n. 4080/2015).
In conclusione, la suprema Corte ha confermato la tesi espressa da parte dell’ufficio, respingendo il ricorso presentato dal contribuente.