Prezzi di trasferimento infragruppo e profili sanzionatori
di Marco BargagliIl tema della corretta determinazione dei prezzi di trasferimento interessa tutte le imprese ad ampio respiro internazionale, che scambiano beni o servizi con società del gruppo localizzate all’estero.
In tale contesto, l’ordinamento giuridico pone precise regole che consentono di determinare correttamente il valore della cessione infragruppo e, simmetricamente, impedire il travaso di utili all’estero, nell’ambito di manovre riconducibili a fenomeni di pianificazione fiscale aggressiva.
Con il D.L. 50/2017 (“manovra correttiva 2017”), il legislatore ha modificato le regole sui prezzi di trasferimento infragruppo adeguandole al principio di libera concorrenza di cui all’articolo 9 del modello OCSE, in base al quale il valore di mercato applicabile nelle transazioni infragruppo è quello che sarebbe stato pattuito per transazioni similari poste in essere da imprese indipendenti.
Per effetto della novella normativa l’articolo 110, comma 7, del D.P.R. 917/1986 attualmente prevede che: “I componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili, se ne deriva un aumento del reddito. La medesima disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, secondo le modalità e alle condizioni di cui all’articolo 31-quater del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”.
Dopo avere tracciato sinteticamente il contesto normativo di riferimento, occorre adesso analizzare i profili sanzionatori che possono derivare in seguito a eventuali rettifiche operate da parte dell’Amministrazione finanziaria che, valutando la congruità degli scambi economici e commerciali infragruppo, può proporre rettifiche in aumento del reddito imponibile derivanti dalla constatazione di costi non deducibili e/o di maggiori ricavi imponibili.
Sotto tale aspetto, il set documentale introdotto dall’articolo 26 del D.L. 78/2010 ha previsto un adeguamento alle direttive OCSE in materia di documentazione dei prezzi di trasferimento, consentendo, simmetricamente, di evitare l’applicazione delle sanzioni amministrative a carico dell’impresa verificata (dichiarazione infedele), come espressamente previsto dall’articolo 1, comma 6, del D.Lgs. 471/1997.
Tale assunto è in linea con quanto chiarito dalla Commissione Regionale Lombardia, nella sentenza n. 2454/2017 depositata in data 1° giugno 2017.
In particolare, il consesso ha confermato che in caso di rettifiche sui prezzi di trasferimento le sanzioni non vengono applicate, qualora il contribuente abbia adeguatamente predisposto il set documentale previsto dall’articolo 26 del D.L. 78/2010.
Sullo specifico punto, giova ricordare che in data 29 settembre 2010 la Direzione Centrale Accertamento dell’Agenzia delle Entrate ha emanato il provvedimento n. 2010/137654, che contiene le modalità pratiche di redazione del set documentale utile per il riscontro della conformità al valore normale dei prezzi di trasferimento praticati dalle imprese multinazionali.
Ciò posto il giudice di merito, nella citata sentenza n. 2454/2017, ha dato estrema rilevanza alla documentazione esibita dal contribuente nei confronti dei verificatori, prescindendo dal paradigma dell’idoneità richiesto dal provvedimento direttoriale sopra citato.
La Commissione Tributaria ha affermato che: “quello che rileva al riguardo non è la correttezza dei prezzi di trasferimento indicati, ma solo la messa a disposizione da parte della società in favore dell’Ufficio della documentazione utilizzata dalla verificata per conformarsi o meno ai valori medi richiesti dalla normativa per la determinazione del valore normale da applicare per le operazioni infragruppo ... omissis … come giustamente dedotto dalla parte appellata, non può rilevare al fine che interessa in questa sede il fatto che l’Agenzia ritenga non comparabili le società utilizzate come “tested party” o la non correttezza del valore normale applicato dalla società trattandosi di questioni attinenti solo alla contestata correttezza dei prezzi di trasferimento in concreto adottati, oggetto di separato accertamento in sede di procedura amichevole pacificamente adottata..”.
Preso atto delle argomentazioni logico – giuridiche espresse in sentenza, a parere di chi scrive l’idoneità del set documentale predisposto ai fini del transfer price consente di scongiurare anche eventuali profili penali tributari derivanti dalle rettifiche operate da parte dell’Amministrazione finanziaria, con particolare riferimento all’ipotesi di dichiarazione infedele prevista e punita dall’articolo 4 del D.Lgs. 74/2000, per mancanza del “dolo specifico di evasione”.
Infatti, si ricorda che l’articolo articolo 4, comma 1-bis, del D.Lgs. 74/2000, prevede che ai fini del reato di dichiarazione infedele non si tiene conto della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, tra cui si ritiene rientri il set documentale ai fini TP.