25 Novembre 2017

La residenza delle persone fisiche

di EVOLUTION
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Negli ultimi anni si è notevolmente intensificata la lotta all’evasione fiscale internazionale. In tale contesto, il tema dell’esatta individuazione della residenza fiscale del soggetto passivo costituisce una questione di centrale importanza.
Al fine di approfondire gli aspetti della materia, è stata pubblicata in Dottryna, nella sezione “Fiscalità internazionale”, una apposita Scheda di studio.
Il presente contributo analizza la disciplina della residenza fiscale delle persone fisiche.

L’articolo 2, comma 2, del Tuir dispone che: “ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile”. Per realizzare il requisito della maggior parte del periodo d’imposta occorre superare, nel corso dell’anno, 183 giorni ossia 184 giorni in caso di anno bisestile.

Gli elementi che determinano la residenza fiscale delle persone fisiche in Italia sono:

  • iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente;
  • domicilio nel territorio dello Stato, definito come la sede principale degli affari e interessi (articolo 43, primo comma, cod. civ.);
  • residenza nel territorio dello Stato, identificabile come la dimora abituale del soggetto (articolo 43, secondo comma, cod. civ.).

L’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente è un requisito di carattere formale. Se il soggetto risulta essere iscritto in un determinato Comune italiano per più di 183 giorni in un anno, lo stesso sarà considerato residente in Italia.

Il domicilio è definito dall’articolo 43, primo comma, cod. civ., come “il luogo nel quale la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi” ed è caratterizzato dalla volontà del contribuente di stabilire e conservare in un determinato luogo il centro dei propri interessi personali, familiari e patrimoniali.

“La locuzione affari ed interessi deve intendersi in senso ampio, comprensivo non solo di rapporti di natura patrimoniale ed economica ma anche morali, sociali e familiari … sicché la determinazione del domicilio va desunta alla stregua di tutti gli elementi di fatto che, direttamente o indirettamente, denuncino la presenza in un certo luogo di tale complesso di rapporti e il carattere principale che esso ha nella vita della persona […] da ciò discende che deve considerarsi fiscalmente residente in Italia un soggetto che, pur avendo trasferito la propria residenza all’estero e svolgendo la propria attività fuori dal territorio nazionale, mantenga il centro dei propri interessi familiari e sociali in Italia” (C.M. 304/1997).

Il centro principale degli interessi vitali del soggetto va individuato dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi viene esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi (Corte di Cassazione, sentenza n. 6598 del 2013).

Si ritiene che nel processo logico – giuridico finalizzato all’esatta individuazione della residenza fiscale della persona fisica, il domicilio è un elemento di fondamentale importanza.

Il contribuente dovrà dimostrare l’effettività del trasferimento nel Paese estero sulla base di elementi sostanziali quali, a titolo esemplificativo:

  • il contratto di affitto relativo ad un appartamento locato all’estero;
  • la regolare corresponsione di affitti e spese accessorie (esempio condominio);
  • la congruità delle spese relative alle varie utenze in uso in detto appartamento;
  • la stipulazione di utenze telefoniche, televisive, e di contratti bancari (Corte di Cassazione, sentenza n. 20285 del 2013).

La residenza è definita dall’articolo 43, secondo comma, cod. civ. come “il luogo in cui la persona ha la dimora abituale.

Secondo la C.M. 304/1997, affinché sussista il requisito dell’abitualità della dimora non è necessaria la continuità o la definitività (Corte di Cassazione, sentenza 29 aprile 1975, n. 2561; Corte di Cassazione sentenza S.U. 28 ottobre 1985, n. 5292). Cosicché l’abitualità della dimora permane qualora il soggetto lavori o svolga altre attività al di fuori del comune di residenza (del territorio dello Stato), purché conservi in esso l’abitazione, vi ritorni quando possibile e mostri l’intenzione di mantenervi il centro delle proprie relazioni familiari e sociali (Corte di Cassazione, sentenza 14 marzo 1986, n. 1738).

La dimora di una persona richiede la valutazione di un elemento oggettivo (stabile permanenza del contribuente in un determinato luogo), e di un elemento soggettivo (volontà del soggetto di rimanervi in modo duraturo nel tempo).

 

Nella Scheda di studio pubblicata su Dottryna sono approfonditi, tra gli altri, i seguenti aspetti:

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