28 Novembre 2017

Aspetti contabili e fiscali del canone di rent to buy immobiliare

di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi Tributari
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Il contratto di rent to buy immobiliare è disciplinato dal D.L. 133/2014 in cui sono contenute le regole civilistiche dell’accordo misto di locazione con patto di futura vendita di un immobile, evidenziando che, a differenza di quanto accade nella locazione con clausola di trasferimento vincolante per ambedue le parti, nel rent to buy il concedente si obbliga a vendere il bene ad una determinata data, mentre l’utilizzatore ha una mera facoltà di acquisto dell’immobile. In relazione all’oggetto del contratto, la norma non pone alcuna limitazione in ordine alla tipologia di immobile, che quindi può essere sia abitativo che strumentale, e nel contempo non pone vincoli per quanto riguarda la qualifica delle parti del contratto (che quindi possono essere imprese o privati). Dal punto di vista contabile, assume rilievo la distinzione all’interno del canone di locazione della quota imputata al godimento dell’immobile e quella relativa all’acconto del prezzo di cessione pattuito tra le parti. Ai fini contabili e fiscali, il concedente deve imputare un componente positivo nel conto economico fiscalmente rilevante in misura pari al canone di locazione di competenza di ciascun esercizio se trattasi di immobile merce (voce A.1 del conto economico) o di immobile strumentale per natura o immobile patrimonio (voce A.5 del conto economico). Per tali ultimi immobili, fiscalmente è necessario determinare il componente positivo di reddito in base alle regole dell’articolo 90 del Tuir, secondo cui rileva il maggiore tra canone di locazione eventualmente ridotto in misura massima del 15% a titolo di spese di manutenzione ordinaria sostenute e documentate e la rendita catastale. Nel particolare caso in cui il concedente sia un’impresa minore di cui all’articolo 66 del Tuir che dal 2017 adotta il regime di cassa, rileva il canone di locazione effettivamente incassato nell’esercizio, ad eccezione degli immobili di cui all’articolo 90 del Tuir per i quali si rendono applicabili le medesime regole previste le imprese “ordinarie”.

Per quanto riguarda il canone incassato quale anticipo del prezzo pattuito per la vendita, si tratta di movimentazioni finanziarie che non assumono rilievo nella determinazione del reddito d’impresa del concedente, il quale a fronte dell’incasso iscrive un debito nei confronti dell’utilizzatore. Solamente all’atto del successivo trasferimento del bene, qualora l’utilizzatore eserciti la facoltà di acquisto, si realizzerà alternativamente:

  • un ricavo di vendita, al lordo degli acconti, se l’immobile è oggetto dell’attività propria dell’impresa concedente (bene merce);
  • una plusvalenza (o una minusvalenza), al lordo degli acconti, se l’immobile ceduto è un bene strumentale o patrimonio di cui all’articolo 90 del Tuir.

Dal punto di vista contabile, contemporaneamente alla rilevazione del credito per la vendita del bene, il concedente dovrà “stornare” il debito maturato per gli acconti incassati durante il contratto ed imputarli come componenti positivi di reddito.

Come anticipato, poiché l’utilizzatore ha una facoltà di acquisto del bene nel termine previsto in contratto tra le parti, laddove non eserciti tale diritto le parti possono stabilire nel contratto che una parte dei canoni incassati in acconto prezzo siano trattenuti dal concedente. In tal caso, il debito iscritto per l’importo degli acconti incassati deve essere restituito per la parte non trattenuta e girocontato a sopravvenienza attiva per la parte trattenuta. Tale componente positivo concorre alla formazione del reddito d’impresa del concedente.

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