18 Dicembre 2017

Transfer price rilevante solo per le transazioni avvenute con l’estero

di Marco Bargagli
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In tema di prezzi di trasferimento infragruppo, l’articolo 110, comma 7, del D.P.R. 917/1986, in seguito alle modifiche introdotte dal D.L. 50/2017, si è adeguato al c.d. principio di libera concorrenza (c.d. arm’s lenght) previsto dagli standard internazionali (cfr. articolo 9 del modello di Convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi).

Attualmente, per espressa disposizione normativa, “i componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili, se ne deriva un aumento del reddito. La medesima disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, secondo le modalità e alle condizioni di cui all’articolo 31-quater del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 “.

L’articolo 5 del D.Lgs. 147/2015 (c.d. decreto internazionalizzazione e crescita imprese), a seguito di un’interpretazione autentica operata dal legislatore, ha previsto che le disposizioni in tema di transfer price non si applicano per le operazioni avvenute tra imprese residenti o localizzate nel territorio dello Stato.

Tale concetto è stato ribadito anche dalla Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 22879/2017 pubblicata in data 29 settembre 2017, la quale ha anche formulato interessanti principi ermeneutici sul tema dei comportamenti antieconomici del contribuente che, in determinate circostanze, possono anche determinare l’accertamento induttivo dei redditi ex articolo 39, primo comma, lettera d) del D.P.R. 600/1973.

Nello specifico, nel corso di una verifica fiscale l’Amministrazione finanziaria aveva recuperato a tassazione costi ritenuti indeducibili dal reddito d’impresa, derivanti dalle prestazioni di servizi rese tra imprese appartenenti allo stesso Gruppo tutte residenti in Italia, in quanto ritenuti non in linea con il valore normale di mercato e, inoltre, non era stato ravvisato il prescritto requisito dell’inerenza delle spese sostenute sancito dall’articolo 109 del D.P.R. 917/1986.

La contestazione operata dall’Ufficio riguardava l’entità dei costi, ritenuti eccessivi, dedotti dalla società contribuente e sostenuti per remunerare, secondo la disciplina di un contratto di fornitura annuale, i “servizi di gestione” resi nei confronti della società verificata e di altre società del Gruppo, da parte della comune società controllante.

La ripartizione delle spese era quindi avvenuta sulla base dei fatturati delle singole imprese rispetto a quello globale del Gruppo creando, simmetricamente, costi deducibili e perdite fiscali riportabili in diminuzione di futuri redditi imponibili.

Gli ermellini hanno confermato la sentenza emessa da parte del giudice di merito, il quale aveva stabilito che:

  • non è ammessa una “rettifica automatica dei prezzi fatturati”, ancorché divergenti dal valore normale dei servizi resi ove prestati su transazioni fra imprese residenti, posto che nella specie il ribaltamento dei costi era avvenuto sulla base di un’imputazione contrattualmente definita tra le parti e prevedente una percentuale calcolata commisurando il fatturato della singola società controllata rispetto a quello globale del gruppo;
  • la società controllante, aveva comunque regolarmente sottoposto a tassazione i ricavi derivanti dagli addebiti infragruppo, creandosi piena armonizzazione della base imponibile a livello erariale.

In merito il giudice di legittimità, non ravvisando alcun arbitraggio fiscale a livello di Gruppo, ha osservato che il rinvio delle fatture al contratto di servizio integra in modo sufficiente la determinatezza delle prestazioni convenute e di quelle regolate con i pagamenti, né il ricorrente risulta averne contestato l’effettività.

In definitiva, la possibilità di preconcordare in aumento i corrispettivi è compatibile, oltre dunque gli onorari minimi calcolati dal Fisco … con un’analoga pattuizione contrattuale dei compensi fra capogruppo e controllata; ciò deponendo in senso critico circa l’indefettibilità dell’unico parametro opposto dall’Ufficio in sede di accertamento critico dei costi, nemmeno avendo trovato adeguata censura il criterio di proporzionalità al fatturato nell’imputazione dei costi di service infragruppo e dunque, in conclusione, dovendo andare esclusa ogni rettifica automatica dei costi sulla base di mera contestazione di eccessività”.

Laboratorio professionale sul Transfer Pricing