Il metodo CUP è ancora il più attendibile?
di Marco BargagliIn ambito internazionale, il principale documento cui gli addetti ai lavori fanno riferimento è costituito dalle “linee Guida dell’OCSE” sui prezzi di trasferimento per le imprese multinazionali e le amministrazioni fiscali, alias “OECD Transfer Pricing Guidelines for Multinational Enterprises and Tax Administrations”.
Sulla base delle indicazioni OCSE, per valutare la congruità delle transazioni infragruppo bisogna prima individuare il metodo di determinazione dei prezzi di trasferimento ritenuto più idoneo, tenuto conto che attualmente non esiste più una stretta gerarchia tra i vari metodi, ma occorre utilizzare il metodo ritenuto più appropriato alle circostanze del caso (c.d. M.A.M. “Most Appropriate Method”).
Nello specifico il capitolo II delle “Transfer Pricing Guidelines”, che descrive i metodi di determinazione dei prezzi di trasferimento, detta precise regole che consentono agli operatori economici di scegliere la migliore procedura logico–giuridica idonea a stabilire se le politiche di prezzo adottate nelle relazioni commerciali o finanziarie, intercorse tra imprese associate, siano coerenti con il principio di libera concorrenza sancito nell’articolo 9 del modello OCSE di Convenzione.
In merito, nel processo di selezione finalizzato a valutare la congruità dei prezzi di trasferimento infragruppo, vanno presi in considerazione:
- i rispettivi vantaggi e svantaggi dei vari metodi;
- la coerenza del metodo considerato con la natura della transazione controllata determinata, in particolar modo, attraverso l’esperita analisi funzionale;
- la disponibilità di informazioni affidabili (in particolare sui soggetti indipendenti selezionati come comparabili), elemento indispensabile ai fini dell’applicazione del metodo individuato;
- il grado di comparabilità tra le transazioni controllate e le transazioni tra imprese indipendenti, compresa l’affidabilità degli aggiustamenti di comparabilità che si rendono necessari per eliminare le differenze significative tra le singole transazioni.
La circolare 58/E/2010 emanata dall’Agenzia delle Entrate sul tema degli oneri documentali in materia di prezzi di trasferimento, nella parte relativa all’“Enunciazione del metodo prescelto e delle ragioni della sua conformità al principio di libera concorrenza”, ha chiarito che il contribuente dovrà dare contezza degli esiti dell’analisi di comparabilità, nonché delle informazioni disponibili e dei relativi effetti in relazione alla scelta del metodo.
Più in particolare, occorrerà illustrare le ragioni che hanno portato a qualificare il metodo prescelto per la determinazione dei prezzi di trasferimento, come il metodo più appropriato alle circostanze del caso.
Il citato documento di prassi sottolinea che, qualora sulla base delle informazioni desumibili dall’analisi di comparabilità, dovesse emergere la possibilità di utilizzare un metodo transazionale reddituale (es. il Transactional net margin method e Transactional profit split method) e, in maniera egualmente affidabile, anche il potenziale utilizzo di un metodo transazionale tradizionale (Comparable uncontrolled price method, Resale price method e Cost plus method), il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, emanato in data 29 settembre 2010, recepisce l’impostazione di cui alle linee Guida OCSE, prevedendo l’utilizzo di tale ultimo metodo.
Per tale ragione, qualora sussista una potenziale applicazione di un metodo transazionale reddituale e di un metodo transazionale tradizionale in maniera egualmente affidabile, qualora il contribuente si dovesse discostare dall’adozione del metodo tradizionale potenzialmente applicabile, lo stesso dovrà fornire adeguate motivazioni affermando, a parità di condizioni, la preferenza per un metodo di tipo tradizionale rispetto a quello reddituale.
Tali motivazioni, di contro, non devono essere addotte, qualora l’analisi di comparabilità non dovesse fornire evidenze in merito al potenziale utilizzo di un metodo transazionale tradizionale in misura altrettanto affidabile. Stesso discorso, prosegue l’Agenzia delle Entrate, vale in caso di selezione di un metodo diverso dal metodo del confronto del prezzo (Comparable uncontrolled price), in presenza di potenziale utilizzo di tale ultimo metodo.
Ciò posto, si ricorda che tra i metodi tradizionali, spicca il metodo del confronto del prezzo il quale si basa:
- sulla comparazione tra il prezzo praticato nelle operazioni infragruppo ed il prezzo che sarebbe stato praticato per analoghe o identiche operazioni intercorse tra una società del gruppo ed un soggetto terzo, in un determinato mercato (c.d. confronto di prezzo interno);
- sulla comparazione tra il prezzo praticato nelle operazioni infragruppo ed il prezzo che sarebbe stato praticato per analoghe/stesse operazioni intercorse tra soggetti terzi, tra loro indipendenti, in un determinato mercato (c.d. confronto di prezzo esterno).
Nell’applicazione del metodo è importante tenere conto che:
- i prodotti oggetto della comparazione devono avere uguali/identiche caratteristiche;
- occorre individuare analoghe o similari condizioni contrattuali ed economiche, riguardanti i soggetti scelti a base della comparazione;
- bisogna effettuare eventuali aggiustamenti (in quanto, ad esempio, i soggetti comparati sostengono diversi costi per dilazione di pagamento, costi per differenti termini di consegna, maggiori oneri per insolvenza crediti etc.).
Sulla base delle indicazioni fornite dalla giurisprudenza e dalla prassi dell’Agenzia, nonostante non esista più una stretta gerarchia tra i vari metodi, il confronto del prezzo (Comparable Uncontrolled Price) è tutt’ora considerato il metodo che maggiormente riflette il principio di libera concorrenza.
Conformemente la Commissione provinciale di Milano, con la sentenza n. 6248/22/17 depositata in data 7 novembre 2017, richiamando la sentenza della Corte di Cassazione n. 2210 del 25 settembre 2013, ha affermato che il criterio che deve essere prioritariamente utilizzato per identificare il “valore normale” delle transazioni infragruppo rilevanti ai fini della normativa sul transfer price, è quello del c.d. “confronto del prezzo”.
Nello specifico, i giudici di prime cure hanno fatto esplicito riferimento al concetto di valore normale contenuto nell’articolo 9, comma 3, del D.P.R. 917/1986 il quale impone di prendere in considerazione, in via principale, le tariffe ed i listini del venditore di beni e/o servizi (operando, di fatto, un confronto del prezzo).
Solo in caso di inapplicabilità o inattendibilità degli stessi sarà possibile fare riferimento, in via residuale, alle mercuriali ed ai listini prezzi delle Camere di commercio.
In merito, prosegue il giudice, nell’applicazione del metodo del “confronto del prezzo”:
- si deve dare precedenza al c.d. “confronto interno” basato sui listini e le tariffe del soggetto che ha fornito i beni o servizi nel rapporto con un’impresa indipendente;
- solo in seconda battuta l’Ufficio può fare riferimento al d. “confronto di prezzo esterno”, ossia alle tariffe praticate in transazioni comparabili avvenute tra imprese operanti nello stesso mercato.
In buona sostanza, nel caso esaminato, il giudice ha accolto il ricorso del contribuente rilevando che non era stata provata, da parte dell’Amministrazione finanziaria, la non congruità dei prezzi praticati dalla società verificata rispetto a quelli di mercato.