Partecipate non residenti e deducibilità degli interessi passivi
di Luigi FerrajoliL’articolo 1, comma 994, L. 205/2017 (c.d. legge di Bilancio 2018) riformula in senso restrittivo le regole di deducibilità degli interessi passivi dei soggetti Ires che detengono partecipazioni in società non residenti.
E’ stato infatti abrogato l’ultimo periodo dell’articolo 96, comma 2, Tuir, nella parte in cui prevedeva che “ai fini del calcolo del risultato operativo lordo si tiene altresì conto, in ogni caso, dei dividendi incassati relativi a partecipazioni detenute in società non residenti che risultino controllate ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, n. 1), del codice civile”; tale modifica entrerà in vigore dal periodo d’imposta 2017.
L’articolo 96 Tuir prevede che “gli interessi passivi e gli oneri assimilati, diversi da quelli compresi nel costo dei beni ai sensi del comma 1, lettera b), dell’articolo 110, sono deducibili in ciascun periodo d’imposta fino a concorrenza degli interessi attivi e proventi assimilati. L’eccedenza è deducibile nel limite del 30 per cento del risultato operativo lordo della gestione caratteristica. La quota del risultato operativo lordo prodotto a partire dal terzo periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007, non utilizzata per la deduzione degli interessi passivi e degli oneri finanziari di competenza, può essere portata ad incremento del risultato operativo lordo dei successivi periodi d’imposta”.
Ai sensi dell’articolo 96, comma 7, Tuir, in caso di partecipazione al consolidato nazionale, l’eventuale eccedenza di interessi passivi ed oneri assimilati indeducibili può essere portata in abbattimento del reddito complessivo di gruppo se e nei limiti in cui altri soggetti partecipanti al consolidato presentino, per lo stesso periodo d’imposta, un risultato operativo lordo capiente non integralmente sfruttato per la deduzione. Tale regola si applica anche alle eccedenze oggetto di riporto in avanti, con esclusione di quelle generatesi prima dell’ingresso nel consolidato nazionale.
Il meccanismo di utilizzo del ROL nell’ambito del gruppo era previsto sin dalla versione originaria dell’articolo 96, come risultante a seguito della riforma del Tuir del 2008, il quale, al comma 8, consentiva di includere “virtualmente” nel consolidato nazionale – ai soli fini della deducibilità degli interessi passivi – i risultati operativi delle partecipate estere, in presenza di determinati requisiti indicati dalla legge.
La finalità della norma era quella di non discriminare le holding industriali in possesso di partecipazioni di controllo in società estere rispetto a quelle che le detenevano in società italiane.
La possibilità di includere virtualmente le partecipate estere nell’ambito del consolidato domestico è decaduta dal periodo d’imposta 2016, per effetto del decreto internazionalizzazione (D.Lgs. 147/2015), che ha abrogato l’articolo 96, comma 8, Tuir.
Il decreto internazionalizzazione, tuttavia, escludeva discriminazioni a carico delle holding con partecipazioni estere, in quanto modificava contestualmente anche il comma 2 dell’articolo 96, prevedendo che nel calcolo del ROL si dovesse tenere conto, in ogni caso, dei dividendi incassati relativi a partecipazioni detenute in società controllate non residenti.
Ora, invece, la legge di Bilancio – dopo solo un anno dall’entrata in vigore dell’ultima modifica normativa – elimina la possibilità di includere i dividendi da controllate estere nel computo del ROL senza alcuna misura sostitutiva o compensativa, con la conseguenza che i gruppi italiani con partecipate estere potranno dedurre interessi passivi minori rispetto a quelle che controllano imprese italiane e che potranno utilizzare il ROL delle controllate nel consolidato fiscale.
L’effetto è una penalizzazione retroattiva delle holding industriali con partecipate estere che avranno, quindi, a disposizione un minor plafond disponibile per la deduzione degli interessi passivi già per l’anno in corso, oltre che il pericolo di un insufficiente versamento dell’acconto Ires 2017 ove i soggetti interessati lo avessero determinato adottando il metodo previsionale e senza considerare la modifica normativa.
Qualora, infatti, una holding abbia conseguito nel 2017 un ingente incasso di dividendi da parte delle controllate estere, decidendo di determinare l’acconto Ires avvalendosi del metodo previsionale, si troverebbe, in conseguenza di una legge entrata in vigore il 1° gennaio 2018, ad avere versato un acconto insufficiente sebbene all’epoca avesse tenuto un comportamento legittimo.